DAL CRISTIANESIMO.....AL CATTOLICESIMO

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Eliaelia
00giovedì 1 gennaio 2015 18:19
di Fausto Salvoni
http://xoomer.virgilio.it/chiesadicristodipadova/cristianesim.htm


INDICE

Premessa

Introduzione generale : Ansia di rinnovamento del cattolicesimo odierno - Il dissenso teologico contemporaneo

Parte I
LA CHIESA NELLA SUA ESSENZA

Capitolo primo: La Chiesa è il nuovo popolo di Dio

Excursus 1 : Distinzione visibile tra clero e laici: celibato sacerdotale

Capitolo secondo : Gerarchizzazione piramidale della Chiesa

Excursus 2 : Primato e collegialità

Capitolo terzo : Gerarchia e Bibbia

Parte II
LA CHIESA TESTIMONE DI VERITA'

Capitolo quarto : Il magistero della Chiesa

Capitolo quinto : Autorità della Bibbia


Eliaelia
00giovedì 1 gennaio 2015 18:21

INTRODUZIONE    GENERALE
      ANSIA DI RINNOVAMENTO NEL CATTOLICESIMO ODIERNO
IL DISSENSO TEOLOGICO   CONTEMPORANEO


Indice pagina

      1) La gerarchia
      a) Critica al moderno metodo burocratico di condurre la chiesa
      b) Reazioni alle encicliche papali
      c) Critica all'infallibilità pontificia
      d) Azioni pratiche
      2) Reazioni tradizionaliste
      3) Paolo VI ponte tra i due estremi
      a) Non fissismo immobile
      b) Non ribellione
      1) In favore del magistero ecclesiastico
      2) In favore della struttura gerarchica
      4) La vera risposta


Nei secoli 11° e 12° sotto l'impulso    di movimenti spiritualisti, poi soffocati dalla gerarchia imperante, sorse    l'aspirazione verso una religiosità più interiore, più    sana, più aderente al vangelo. Qualcosa di simile si vede ora accadere    in seno a tutte le chiese, ma specialmente in grembo al cattolicesimo dominato   fino a ieri da un governo assolutista che non ammetteva discussioni. Dopo   il Vaticano II, che si pensava destinato a far rifiorire la chiesa cattolica,   un'ondata distruttiva si è abbattuta su di essa da parte di laici,   sacerdoti e teologi di tale confessione. Anche se il tono della contestazione   iniziale si è andato affievolendo con gli anni, tuttavia vi è   ora da parte di molti una ricerca di qualcosa di nuovo che abbia a ridonare   fiducia e credibilità al vangelo divenuto ormai superfluo per tanta   gente di oggi. Due mi sembrano i punti verso i quali si è particolarmente   rivolta la critica severa di tanti cattolici: la gerarchia e il magistero.

1) La gerarchia

Oggi il concetto    di autorità è in crisi: si accusano i detentori del potere   di aver abusato del proprio dominio, di essersi trasformati in un autoritarismo    senza più possedere la duttilità necessaria per adattarsi  alla realtà in continuo mutamento. Tale comportamento non poteva non ripercuotersi anche in seno al cattolicesimo nel quale ha sempre dominato  il concetto di autorità e di potere derivato alla gerarchia da Gesù  Cristo e in ultima analisi dallo stesso Dio. Talvolta le espressioni dei  contestatori cattolici assumono un tono assai duro, come risulta dal seguente  ordine del giorno approvato nel gennaio del '69 da un gruppo di sacerdoti  francesi:

      Voi vi chiamate successori degli apostoli, ma in realtà siete un'assemblea   di sommi sacerdoti, di scribi e di farisei, che monopolizzano l'evangelo  e il rango sacerdotale. Voi pretendete di rappresentare il popolo di Dio:  Ma quale popolo? Quale Dio? Chi vi ha scelti? Chi vi controlla? Vi chiamate  servi degli uomini, ma in realtà servite solo i ricchi e i potenti.  Voi dialogate, ma di fatto decidete per conto vostro. Pretendete distribuire  la verità, così come il banchiere dà il denaro. In ogni  lotta rivoluzionaria attraverso la quale noi tentiamo di guidare il popolo,  voi siete un ostacolo (Corr. Sera 28-5-69).

Il movimento italiano «7 Novembre» nell'aprile 1972 ha emesso un manifesto che tra l'altro dice di voler promuovere l'iniziativa per

      superare il tipo di chiesa sacrale, burocratica e di potere attualmente   esistente...  obiettivo primario è la liberazione del prete dal condizionamento  di tipo culturale, politico ed economico cui è soggetto.

Il movimento di emancipazione burocratica si è finora sviluppato du varie direttive:


Eliaelia
00giovedì 1 gennaio 2015 18:22
a) Critica al moderno   metodo burocratico di condurre la chiesa.

Colui che meglio    di tanti altri ha combattuto questo aspetto ecclesiastico è stato   il cardinale belga Suenens che nel maggio 1969, in un'intervista alla rivista    Informations Catholiques Internationales, presentò il papa come  un  prigioniero del sistema curiale.


Al centro prevale    la tendenza, anche dopo il Vaticano II, di guardare tutto sotto l'aspetto    formale e giuridico. Considerando la chiesa come una società perfetta,    con un potere supremo ben definito, fornito di leggi universalmente valide,    si tende a dare la priorità alla chiesa universale rispetto alle  chiese particolari. «Ciò ci porta  più vicino al Vaticano I che all'anno 2000     »,  si cerca più di reprimere... che di comprendere. Si tende  così  a considerare le diocesi come dipartimenti amministrativi e i vescovi come  delegati del potere centrale.


Egli critica l'arretratezza della procedura ecclesiastica e circa i cardinali afferma:


      Occorre che la chiesa trovi in questo collegio un'immagine fedele della   sua diocesità. La piramide dell'età (l'età media delle   recenti promozioni è di 59 anni), lo squilibrio delle nazioni (48  italiani su 83 europei, cioè la metà) aprono dei problemi che meritano uno studio attento, pronto a tener conto di una situazione complessa, ereditata da un passato che più non corrisponde al bene della chiesa.
      La funzione dei nunzi è spesso equivoca in quanto stabilisce  il  dialogo  con Roma a livello delle potenze politiche e la voce dei poveri non è  ascoltata. Spessi anzi soffocata. E' uno dei grandi motivi di scontento per l'America latina.

Circa la collegialità    egli propone la elezione del papa da parte del collegio episcopale, in  modo  e forme da stabilirsi.

      L'uomo e il cristiano del 1969 rifiuta certe procedure o l'assenza di  procedure;   esige in caso di contestazione d'essere giudicato dai suoi  pari  a cielo aperto.

Per il cardinale     «le encicliche e i documenti importanti    della Santa Sede dovrebbero presentarsi sempre come frutto di un'ampia  collaborazione  tra Roma e le chiese particolari   ». Già  in un suo libro, presentando la chiesa come popolo  di Dio, affermava che « il battesimo è  la radice di ogni vita cristiana e religiosa, strutturata o meno... Nella  chiesa la uguaglianza iniziale di tutti è fondamentale: non vi sono  superbattezzati, non vi sono caste, non vi sono privilegiati    ».

Intervistato da René Laurentin, lo stesso cardinale ribadì per Le Figaro «    che la collegialità non è solo consultazione, ma corresponsabilità (...) Occorre ammettere la libera circolazione delle idee nella chiesa che è parte essenziale della libertà culturale e che è soffocata solo dai regimi totalitari... E' la soluzione dei problemi che disarma la critica   ».

In un'ulteriore    intervista a Robert Serrou apparsa il 2 luglio su Paris Match sostenne  che  migliaia di cristiani hanno oggi la sensazione di essere soffocati da  certe  strutture ecclesiastiche.

      Io penso che a poco a poco si finirà col capire che non ci si può   spogliare dei problemi attuali e che è vitale ammettere la discussione   a cielo aperto... Credo che la forza della verità abbia un suo carattere   salubre e tonico... So che sarò oggetto di  attacchi. Ma io amo la  chiesa e sono un capo. Sono quindi pronto a pagare di persona le mie convinzioni.

Il 12 maggio 1970 in un'ulteriore intervista a Le Monde criticò il papa per avere

      proibito che la discussione sul celibato venisse sottoposta la parere  dei  padri conciliari, per avere sempre confermato, in dichiarazioni esplicite   e reiterate, tale divieto, così da escludere l'azione collegiale propriamente  detta, come del resto si è verificato a proposito del problema della  regolazione delle nascite.

Si sono così    impediti scambi di vedute con il papa e i vari vescovi.

Egli auspica che si lasci libero corso all'esercizio della collegialità e della corresponsabilità:

      E' necessario che Roma autorizzi lo studio della questione concernente  la  vita del clero...
      Noi vescovi dobbiamo guardarci da uno stile autoritario; il clero e  i  laici   si guarderanno allora da uno stile contestatario... Il problema  stesso  del  celibato non è il primo; ciò che principalmente  è  in  gioco è la maniera stessa di concepire il governo della  Chiesa.

In Olanda si è cercato di creare un vero consiglio pastorale composto di vescovi, sacerdoti e laici, il quale potesse ridare maggiore autorità ai vescovi minacciata dal potere dei nunzi, discutesse sui problemi diocesani, autorizzasse l'uso della pillola nei casi di coscienza gravi da lasciare al giudizio degli interessati, inducesse le chiese a rinunciare ai beni non indispensabili, denunciasse l'obbligatorietà del celibato sacerdotale. Evidentemente il Vaticano si è subito preoccupato e ha dato l'ordine di sospendere per il momento un'attività del genere.


Eliaelia
00giovedì 1 gennaio 2015 18:23
b) Reazione alle   encicliche papali

Anche in passato alcune encicliche sono state oggetto di discussione; si pensi ad esempio alla enciclica "Unam Sanctam" (1302), che tanta opposizione suscitò da parte dei vari governi europei. Ma in genere si trattava di discussioni attuate da coloro che si ritenevano fuori della chiesa, mentre ora sono gli stessi credenti, laici o sacerdoti, che ufficialmente prendono posizione contro le encicliche. Tra queste, due principalmente hanno creato contrasti insanabili la "Humanae Vitae" sul controllo delle nascite e la "Sacri Celibatus" riguardante il celibato sacerdotale.


Per quella sul regolamento delle nascite   non pochi vescovi hanno cercato di sminuirne il valore dichiarando che l'andar   contro tali direttive sarebbe stato un peccato solo leggero (Austria), altri   hanno detto che l'enciclica vale per l'insieme di tutti gli atti matrimoniali   non per il singolo atto particolare del momento (Italia), che qualche credente   può ragionevolmente raggiungere un'opinione personale opposta a quella   papale (Germania, Inghilterra). Tuttavia in genere i vescovi hanno accolto   globalmente l'enciclica, che fu contestata nel suo insieme dall'arcivescovo   Roberts e dal vescovo di Minneapolis J. P. Shannon, il quale così  scrisse al papa:


Nella mia esperienza    pastorale ho appreso che per molte coppie di fedeli l'osservanza di questo    rigido insegnamento è praticamente impossibile e mi è difficile    credere che Dio possa esigere cose impossibili dalle creature umane...  Mi  rincresce dover ammettere che mi vergogno dei consigli dati a tanta brava   gente; me ne vergogno perché essi erano permeati di falsa teologia   e non corrispondevano alle mie intime convinzioni... Non posso quindi dare    in coscienza il mio assenso e nemmeno un assenso esteriore alle direttive   papali.


In un recente libro si asseriva la «    discutibilità» (Fragwürdigkeit) del papato odierno e in un articolo dal titolo significativo "Der unberatend Papst" ( Il papa mal giudicante) si asseriva che proprio da questa enciclica viene la crisi attuale sulla autorità del papa presso tanti fedeli. «    Siccome il papa deve decidere su tutto e quindi portare la responsabilità di tutto, ne deriva che egli è divenuto il papa dell'errore    » (ist zum irrendem Papst deworden). Lo stesso invita i vescovi ad opporsi nel sinodo al papa, come l'apostolo Paolo fece contrastando Pietro.


La forte tensione circa il celibato    del clero non si è affatto assopita, anzi si è accresciuta   con la pubblicazione dell'enciclica "Sacerdotalis coelibatus" (24 giugno  1967).


Liberateci dai tabù    medievali – si leggeva in un manifesto di un gruppo di sacerdoti di Casale    Monferrato nel 1969 – che facevano della donna l'immagine del diavolo.  Non  è possibile proibire oggi il matrimonio dei sacerdoti per la stessa ragione di allora.


La reazione all'enciclica si è    fatta sentire anche in alto loco in quanto l'episcopato olandese e tedesco,    e vari concili nazionali di Olanda e di Austria, hanno richiesto al papa   di riesaminare il problema. Il contrasto con l'Olanda fu vivissimo e minacciò    una rottura scismatica. Ha espresso bene la situazione un docente di dogmatica    dell'Antonianum di Roma quando, facendo propria l'idea di molti sacerdoti,    ha scritto:


La legge ecclesiastica    presuppone e presume, forse gratuitamente che Dio conceda il dono (del  celibato)  a chi si appresta a ricevere l'ordinazione sacerdotale, solo perché   la sacra gerarchia ha così stabilito. Non è facile credere  che Dio voglia sempre ciò che vuole la Chiesa... è difficile  soprattutto dimostrare che la volontà di Dio, specialmente in questa  materia, si identifichi ipso facto con la volontà della Chiesa docente.  Se si tratta di un dono divino, di un dato sublime, eccelso non si deve porlo   – in stato inflazionistico per una imposizione di legge, ritenuta valida  e perciò necessaria.


Molti sacerdoti si mostrano contrari    alla completa indissolubilità del matrimonio, che per certi casi  non sarebbe né biblica né sorretta dalla tradizione, e si mostrano  contrari alla attuale campagna antidivorzista che si svolge in Italia.. Alcuni  docenti della Gregoriana che l'attuale campagna svolta dalla Civiltà  Cattolica, dall'Osservatorio Romano e dallo stesso papa è controproducente;  è «un deplorevole esempio di malcostume  politico-religioso in contrasto con il principio di libertà sancito  dal Vaticano II. Il suo primo risultato sarà un altro passo in avanti  nel processo di allontanamento degli italiani dal cattolicesimo»


Eliaelia
00giovedì 1 gennaio 2015 18:24
c) Critica alla  infallibilità pontificia

E' venuta nientemeno che dal vescovo    di Indore (India), Mons. Francis Simons, secondo il quale la stessa infallibilità    papale va messa in discussione. Gli apostoli, testimoni della vita di Cristo,   ebbero l'assistenza dello Spirito Santo non perché avessero a divenire   infallibili, ma per poter ricordare alcuni particolari della vita di Gesù   dei quali erano stati testimoni. Il « Tu sei Pietro  », prova solo che egli era il principe degli apostoli, ma non che godesse di speciali carismi di predicazione infallibile. Il cosiddetto carisma dell'infallibilità non ha impedito che:


pontifici, vescovi    ed altri membri della chiesa cadessero in errori e dimenticanze. A causa   del concetto stesso di infallibilità anche i buoni argomenti della   dottrina cattolica cessano di esercitare il loro vero peso. Dietro di loro,   infatti, la grande massa degli uomini vede solo degli strani contorcimenti   teologici e non un tentativo di dire la verità. Perciò il  dogma  dell'infallibilità è un ostacolo al progressivo affermarsi  dell'evangelo.


Sulla medesima linea direttiva si è   posto Hans Küng nel suo libro "Infallibile?", che vorrebbe sostituire   alla infallibilità della Chiesa (e del papa) il concetto di «       indefettibilità», perché nonostante i suoi  errori,  la chiesa non potrà mai venire meno, come ha promesso Gesù  cristo a Pietro (Mt 16, 18). Mi accontento qui di stralciare qualche frase  dell'interessante volume:


E' particolarmente    sconsolante il dover prendere atto che più il papa cerca di prendere    sul serio il suo magistero, più questo sembra avvenire a spese della   credibilità di questo stesso magistero (p. 21). Se per il magistero   dei vescovi (e del papa) non si intende l'annuncio dell'Evangelo ma la regolazione  d'autorità di tutte le dottrine, per cui coloro che dirigono la chiesa  ne siano anche i maestri, si può obbiettare che questa monopolizzazione  dei carismi in una « ierocrazia  »  dei pastori è chiaramente in contraddizione con il messaggio e con  la chiesa del Nuovo testamento. Nessuno ha il diritto di credersi unico e  originale possessore dello Spirito Santo! Nessuno ha il diritto di smorzare  il possesso che ne hanno altri...
E' una non biblica assolutizzazione del servizio, quando chi presiede voglia considerarsi anche apostolo, profeta e dottore e voglie essere tutto in uno, quand'anche si dovesse per questo richiamare al triplice ufficio di Cristo (regale, profetico e sacerdotale). Il Nuovo Testamento non conosce sistemi ad una sola persona. Ciascuno ha il suo carisma! (p 266 s.). Errare è umano, errare è anche ecclesiastico, errare è anche papale: poiché anche la chiesa e il papa sono e restano sul piano umano. Avevamo tante volte dimenticato nella chiesa quel dato di fatto, ma vi siamo stati richiamati (dalle vicende dell'enciclica    Humanae vitae  ).
La chiesa si distingue    da altre organizzazioni umane – ed è una differenza determinante   – poiché a lei, quale comunità dei credenti in Cristo, è    stata data in dono la promessa: la promessa di superare tutte le decisioni    e tutti gli interventi mancati, tutti i peccati e i vizi; la promessa che   la sua verità, pur tra tutte le difficoltà, non andrà    distrutta; la promessa che in essa sopravviverà il messaggio di  Gesù  Cristo, che Gesù Cristo stesso resterà presso di lei nello Spirito, che essa sarà così mantenuta, pur tra tutti gli errori e le deviazioni, nella verità di Cristo. La promessa dice: Dio fa in modo che ci siano sempre la fede e la chiesa; e che la chiesa, pur con tutto il suo smarrirsi e il suo vagare, conservi in ultima analisi la direzione di fondo e il suo vagare, conservi in ultima analisi la direzione  di fondo e trasmetta la verità di Cristo.
Anche se la chiesa si discostasse dal suo Dio, egli non si discosterà dalla chiesa. Essa   può mettere un piede in fallo durante il suo cammino attraverso il   tempo, può inciampare o spesso anche cadere, può finire tra   i predoni e giacere a terra mezzo morta. Ma il suo Dio non le passerà    accanto indifferente; egli verserà olio nelle sue ferite, la solleverà    e per la sua salute pagherà anche ciò che non era previsto   (p. 216 s.).


Eliaelia
00giovedì 1 gennaio 2015 18:26
d) azioni pratiche

Tuttavia gran parte di sacerdoti e laici, senza permettersi la critica pubblica della gerarchia o del magistero ecclesiastico, si sono messi ad agire come se gerarchia e magistero non esistessero. Molti laici, ad esempio, agiscono senza tenere in alcun conto, nei loro rapporti coniugali, l'enciclica sulla limitazione delle nascite. E non si credono per questo colpevoli, come al contrario si pensava in passato ogni qual volta che si disubbidiva alle decisioni papali o alla morale cattolica comune.


Molti sacerdoti lasciano il sacerdozio, chiedono la secolarizzazione per immettersi in un'attività più mondana e meno sacrale. Molti sono però i sacerdoti che si sposano, che annunciano formalmente alla loro chiesa il loro intento e che tuttavia vogliono restare nelle loro funzioni sacerdotali.


Uomini sposati chiedono il sacerdozio – scrive un gruppo di sacerdoti francesi –, preti sposati esercitano il loro ministero nella chiesa latina senza restrizioni, un certo numero di preti si sono sposati, altri si preparano a farlo, e questi preti vogliono restare nella chiesa... se il celibato ha un valore profetico, il renderlo obbligatorio ne maschera attualmente il senso.


Da un'indagine sociologica svoltasi in Olanda sono apparsi i seguenti dati globali, anche se taluni sono parzialmente giudicati discutibili:


Tre quarti dei preti, diaconi e suddiaconi olandesi si pronunciano contro la legge del celibato, quale esiste attualmente; benché una maggioranza non prenda posizione radicale e si faccia patrocinatrice di una reale pluriformità, solo una  piccola minoranza (5%) opta formalmente e senza restrizioni per lo statu quo e gli altri, un quinto in tutto, dichiarano valido l'obbligo del celibato, almeno per un certo tempo, senza affatto pregiudicare la sua immutabile fissità.


Dove su più larga scala si è cercato di sfuggire alla gerarchia ecclesiale è stato nella formazione di comunità di base, di chiese « sotterranee», chiese cioè che vivono ai margini della chiesa ufficiale, sotto la guida di sacerdoti già staccatisi dalla chiesa (pur avendo conservato l'idea della loro sacerdotalità) o di sacerdoti emarginati dalla chiesa cattolica. Infatti sono ben scarse quelle che si sono sganciate del tutto dall'idea del ministero sacerdotale e che celebrano la Cena del Signore indipendentemente dal sacerdote, ritenendosi tutti, secondo l'insegnamento biblico, sacerdoti in Cristo.


Di più, ben poche di queste chiese di base studiano la Bibbia per valutare la propria esperienza alla luce dell'insegnamento apostolico e in genere, per comprensibile desiderio di dedizione ai poveri e per una naturale reazione alla chiesa ufficiale legata ai potenti, si sono date ad un'attività sociale buonissima, ma che non di rado torna a scapito del loro rapporto con Dio. L'orizzontalità ha spesso fatto dimenticare a molte comunità la verticalità del pensiero cristiano originale. E' inutile ricordare le esperienze dell'Isolotto (Firenze), Conversano (Bari), di San Ferdinando (Milano), del Vandalino (Torino) e specialmente quelle della dinamica comunità di Oregina, nella quale si cerca – anche se insufficientemente a mio avviso – di valutare ogni fatto anche sociale alla luce del vangelo.


Dinanzi a questo comportamento di laici, di sacerdoti e di qualche raro vescovo viene da chiederci se si tratta di una fuga o di una profezia, la quale preluda a una nuova strutturazione ecclesiastica del futuro vincolata a chi soffre secondo l'esempio di Cristo e priva dell'apparato burocratico odierno e che torni alla semplicità del vangelo.


Eliaelia
00giovedì 1 gennaio 2015 18:27
2) Reazioni tradizionaliste

Contro queste tendenze – e non solo contro di esse ma anche contro le innovazioni conciliari come il rito della nuova messa, la liturgia sacramentale, l'eliminazione del latino – si è invece scagliata un'altra ala cattolica: quella dell'estrema destra.


Non mancarono manifestazioni ridicole, come quella di gettare anilina nelle acquasantiere di Roma nel novembre 1969 per protesta contro la morte della messa latina, ripetendo simbolicamente il prodigio delle acque del Nilo tramutatesi in sangue; oppure quella di un gruppo francese che, afferrato un crocifisso, si mise a colpire preti e fedeli che erano accorsi nella chiesa di S. Eligio a Parigi per udire, alla presenza del card. Marty, un concerto organizzato dall'ex jazzista Gay de  Fatte divenuto sacerdote.


Il gruppo conservatore chiede un ritorno alla gerarchia tradizionale e alla liturgia di un tempo:


Nella costituzione della chiesa, quale Cristo l'ha voluta, non vi è posto per la democrazia – afferma la rivista genovese «Renovatio ». La costituzione della chiesa è gerarchica, non democratica. Il papa ha la pienezza del potere nel primato e ciò significa che può tutto ciò che sta nell'ambito del Regno di Dio senza aver bisogno del consenso di nessuno.
...Il papa può tutto senza il collegio (episcopale) e il collegio episcopale nulla può senza il papa.

Secondo costoro « non si combina nulla quando si è in troppi» (card. Siri). Si corre infatti il rischio di cambiare il concetto « di chiesa gerarchica con il feticcio del regime assembleare» e si «pretende di far divenire la casa di Dio misera e noi (vescovi e clero) degli straccioni» (marzo 1968). I conservatori, contrari ad ogni forma di aggiornamento, dicono: « Basta con i concili!... Il demonio scrutava a distanza il pontefice vegliardo che la mattina del 25 gennaio 1959 alla basilica di S. Paolo fuori le Mura... preannunziava il futuro concilio ». Da allora l'itinerario del concilio fu anche l'itinerario di Satana, che divenuto « esperto in concilio ne ha distorto i documenti per gettare zizzania nell'orto della chiesa di Dio ».

Il domenicano Maurizio Lelong, di 72 anni, dal microfono di radio «France Culture » (in seguito ne è stato esonerato) diceva:

La campagna devastatrice è cominciata. Qua e là viene soppressa la cresima senza ragione, per ordine di un neo-clericalismo peggiore di quello di un tempo. Oppure hanno buttato all'aria la liturgia. Una minoranza di ignoranti, ha fatto innovazioni contrarie alla tradizione della Chiesa. Per esempio, al posto della messa da Requiem hanno messo le canzonette. I riformatori dicono che i canti gregoriani hanno avuto bisogno di un secolo per affermarsi. Io rispondo che se piantate un manico di scopa potete innaffiarlo fino al duemila, ma esso non darà mai rose.

In un racconto romanzato dal titolo Le trêtre – neologismo di traitre «traditore» e prêtre «prete» – edito da Roger Marcel nel 1972 (si dice che ne sia l'autore un profugo dell'est rifugiatosi negli Stati Uniti) si narra di un ufficiale sovietico incaricato dal partito di infiltrarsi negli ambienti ecclesiastici occidentali per demolire la chiesa dall'interno, obiettivo che Stalin aveva ordinato di raggiungere entro il 1980. L'agente segreto del servizio di sabotaggio ecclesiastico con il nome di Lavr Divomlikoff riesce a farsi ordinare sacerdote con il pretesto di una vocazione tardiva. In seguito, con l'aiuto dei suoi superiori sovietici che lo perseguitano, riceve l'aureola di martire e giunge al vertice episcopale. Di lì egli tenta con il suo zelo anticonformista di rovinare la tradizione cattolica.. Vi si intravede una punta polemica contro la «sinistra cattolica», accusata di connivenza con lo stesso comunismo.

In questo tentativo di riconquista del terreno perduto, la destra cattolica, con l'appoggio di elementi curiali retrivi al progresso, si sforza di sospendere dal loro ufficio quelli che si mostrano progressisti, i quali vengono così rimossi dall'insegnamento o dalla loro posizione gerarchica, e di far tacere le voci progressiste. E' superfluo tessere l'elenco di fatti del genere, ricordo solo l'opposizione che dovette subire il Card. Lercaro di Bologna, biasimato da Tito Casini nel suo libro La tunica stracciata e infine l'accettazione improvvisa delle sue dimissioni prima sempre respinte. P. Santucci Pellegrino così commentava tale fatto: « Le dimissioni del Card. Lercaro sono una squallida fine. Dà le dimissioni a condizione di aver Dossetti come successore. Il papa non accetta e passano i mesi... Poi il papa gli toglie la poltrona e lui docile, si preoccupa di far sapere a tutto il mondo che è stato mandato via. Gli auguro molti anni di vita, perché abbia tempo e possibilità di rimediare a tutti i disastri che ha causato alla chiesa».

Docenti vengono rimossi dalle università cattoliche di Milano, di Roma e di altri luoghi; si pubblicano riviste di carattere conservativo e libri che suggeriscono il ritorno alla venerazione fedele del papa e della tradizione cattolica. A questa corrente si rifà il cinquantesimo libro scritto dal filosofo monagenario Jacques Maritain, il quale auspica un ritorno alla fede cattolica da lui sempre accolta in passato e presa come guida per interpretare le realtà umane. In una intervista François Mauriac a chi gli parlava di crisi cattolica, rispondeva: «Sì, non vi è altra risorsa nel naufragio, che tornare alla tavola della fede e credere allo Spirito che agisce e che questo grande travaglio finirà nella gioia ».


Eliaelia
00giovedì 1 gennaio 2015 18:28
3) Paolo VI ponte tra i due estremi

Papa Montini, cresciuto alla scuola diplomatica di Pio XII, cerca di stabilire un ponte tra le due correnti estremiste: da una parte annuncia delle novità, si mostra comprensibile verso i movimenti contestatari, ma dall'altra cerca di difendere la tradizione del passato, sia pure presentandola in una cornice nuova. Evitando « gesti clamorosi, interventi energici e decisivi», ritiene « di non dover seguire altra linea che non sia quella della confidenza in Gesù Cristo, a cui preme la chiesa più che a qualsiasi altro ». Paolo VI, pur conservando la fiducia nel futuro, soffre per l'opposizione contemporanea alla gerarchia e al magistero:


Come non potrebbe soffrire il papa... nel vedere che le difficoltà maggiori oggi sorgono dal seno stesso di lei (la chiesa), che i dispiaceri più pungenti, dati dalla indocilità e dalla infedeltà di certi suoi ministri e di alcune anime consacrate, che le più dolenti sorprese, vengono dagli ambienti più assistiti, favoriti e prediletti?


Egli però, ridimensionando la contestazione, dice che essa nasce pur sempre da minoranze:


Anche se i fenomeni preoccupanti assumono misure di gravità, bisogna pur rilevare che spesso nascono da minoranze numericamente piccole e da fonti molto spesso punto autorevoli: i mezzi moderni di diffusione pubblicitaria invadono oggi con strepitosa facilità l'opinione pubblica e danno a fatti minime effetti sproporzionati. Resta ancora una immensa maggioranza di gente sana, buona e fedele, a cui possiamo far credito; anzi, a questa noi ci rivolgiamo con la nostra fiducia e la invitiamo con la nostra calda esortazione a rimanere salda.


Eliaelia
00giovedì 1 gennaio 2015 18:28
a) Non fissismo immobile

Contro la paura della « novità», Paolo VI mostra come questa sia « una delle grandi parole del concilio» destinata a divenire « meravigliosamente feconda nel campo religioso ».


Rinnovamento e aggiornamento; termine questo a cui il Papa Giovanni ha dato libero corso ed è entrato ormai nel linguaggio corrente... a noi preme moltissimo che questo « spirito di rinnovamento» sia da tutti compreso e tenuto vico. Esso risponde all'aspetto saliente del nostro tempo, ch'è tutto in rapida ed enorme trasformazione, cioè in via di produrre novità in ogni settore della vita moderna.


I nostalgici del passato sono da Paolo VI così descritti:


Disturbati nelle loro pie abitudini questi spiriti non si rassegnano che a malincuore alle novità, non cercano di capirne le ragioni, non trovano felici le nuove espressioni di culto, e si rifugiano nel loro lamento. Questi difensori dell'immobilismo formale nel costume ecclesiastico, forse per eccesso d'amore, finiscono per esprimerlo questo amore in polemiche con gli amici di casa, quasi questi, più che altri, fossero infedeli e pericolosi.
La riforma liturgica corrisponde ad un mandato autorevole della chiesa; è un atto di obbedienza; è un fatto di coerenza della chiesa con se stessa; è una dimostrazione di fedeltà e di vitalità alla quale tutti dobbiamo prontamente aderire. Non è un arbitrio. Non è un esperimento caduco o facoltativo. Non è un'improvvisazione di qualche dilettante. E' una legge pensata da cultori autorevoli della Santa Liturgia, a lungo discussa e studiata; faremo bene ad accoglierla con gioioso interesse e ad applicarla con puntuale ed unanime osservanza.


Eliaelia
00giovedì 1 gennaio 2015 18:29
b) Non ribellione

Il papa riconosce che è in corso una crisi disgregatrice, per cui, parlando agli alunni del Seminario Lombardo a Roma, affermò che la «Chiesa si trova in un'ora di inquietudine, di autocritica, si direbbe di autodemolizione. E' come un rivolgimento interiore acuto e complesso che nessuno si sarebbe atteso dopo il Concilio... La chiesa quasi quasi viene a colpire se stessa ». Al fondo di questa perturbazione che pervade oggi la chiesa cattolica – secondo papa Montini – v'è soprattutto una crisi di fiducia: « Una tentazione di sfiducia percorre l'anima di non pochi ambienti ecclesiastici. Sfiducia nella dottrina o nelle tradizioni, e quindi diventa crisi della fede. Sfiducia nelle strutture e nei metodi; e diventa critica corrosiva ». « Lo Spirito di indipendenza, di critica, di ribellione, trasforma facilmente il dialogo in discussione, il diverbio in dissidio; spiacevolissimo fenomeno, anche se, purtroppo, sempre facile a prodursi, contro il quale la voce dell'apostolo Paolo ci premunisce: Non vi siano tra voi degli scismi » (1 Co 2, 1-10).


Eliaelia
00giovedì 1 gennaio 2015 18:30
1) In favore del magistero ecclesiastico

Non si può innovare per il semplice desiderio di innovare – afferma Paolo VI – senza guardare alla tradizione e al magistero della Chiesa. Ecco alcuni brani significativi spulciati dai molti discorsi di Paolo VI sull'argomento:


Il primo pericolo è quello del cambiamento voluto per se stesso, o in ossequio al trasformismo del mondo moderno, del cambiamento incoerente con la tradizione irrinunciabile della Chiesa. La Chiesa è continuità del Cristo nel tempo, Noi non possiamo staccarci da essa, come un ramo, che vuole esplodere nei nuovi fiori della primavera, non può staccarsi dalla pianta, dalla radice, donde trae la sua vitalità. Quest'è uno dei punti capitali della storia contemporanea del cristianesimo; è un punto decisivo: o l'adesione fedele e feconda con la tradizione autentica e autorevole della Chiesa, ovvero il taglio mortale da essa.
Si è cercato di avere una Chiesa senza dogmi difficili... Processo riduttivo che purtroppo, qua e là, continua a svuotare la dottrina cattolica del suo contenuto e della sua certezza. E' sorta un'altra Chiesa senza autorità, sia di magistero che di governo, quasi fosse una chiesa liberata e resa accessibile a quanti la vorrebbero puramente spirituale e indifferente a precetti morali oggettivi e sociali. Una Chiesa facile si è così vagheggiata, senza configurazioni gerarchiche, né giuridiche, una chiesa senza obbedienza, senza norme liturgiche; una Chiesa senza sacrificio. Ma che cos'è una chiesa senza la croce?
Non si è negato certo i carismi particolari dei fedeli, tutt'altro... ma i carismi concessi ai fedeli – come ancora sottolinea Paolo – (1 Co 14, 26-33.40), vanno soggetti a disciplina, che sola è assicurata dal carisma della potestà pastorale, nella carità.
Di qui la necessità di conservare gelosamente nel tumulto degli avvenimenti e nella pluralità delle situazioni, il patrimonio della tradizione, come un tesoro intangibile da non perdere.
Il papa non è e non potrebbe essere – diceva Paolo VI al consiglio generale del Sinodo dei vescovi – né fautore, né portavoce, né tanto meno prigioniero di una scuola determinata. A Lui, successore di Gesù Cristo, spetta in primo luogo di essere, in testa ai suoi fratelli e in stretta unione con essi, il testimonio della fede della Chiesa, della quale è interprete autorizzata la dottrina conciliare, in coerenza con l'intera tradizione. Questa è la nostra missione, questo è il nostro servizio della Chiesa, con l'assistenza dello Spirito Santo.


Eliaelia
00giovedì 1 gennaio 2015 18:30
2) In favore della struttura gerarchica

Paolo VI, pur essendo pronto a rispondere nel miglior modo possibile «ai disagi, aspirazioni e impazienze che possono talvolta assumere aspetti quasi di rivolta » e pur essendo «disposto a considerare le ragioni plausibili di questi contrastanti atteggiamenti, disposto a modificare le posizioni giuridiche esistenti... ad accogliere le buone aspirazioni particolari di un legittimo pluralismo nell'unità », si fa valido sostenitore della gerarchia ecclesiastica cattolica. Ecco i passi più peculiari tra i molti discorsi che Paolo VI ha pronunciato su questo argomento:


La struttura sarebbe – si dice – una derivazione illegittima o almeno non necessaria della formula autentica della chiesa apostolica, sarebbe autoritaria, giuridica, formalista, inquinata da tendenze al potere, alla ricchezza, alla immobilità tradizionale, e destinata a separarsi dal mondo, antievangelica insomma e antistorica. Mentre lo Spirito è carismatico, è profetico, è libero e liberatore... Non si può isolare l'economia dello Spirito, anche se Questo, come disse il Signore, soffia dove vuole (Gv 3, 8), dalle cosiddette strutture, sia ministeriali sia sacramentali, istituite da Cristo, germinate con vitale coerenza, come pianta dal seme, dalla sua parola.
Altra questione è quella vecchia, che oppone la religione dell'autorità a quella dello Spirito; quest'ultima preferita dagli avversari della Chiesa istituzionale e gerarchica, per rivendicare la libertà di una chiesa democratica, che viva dello spirito espresso nel senso religioso della comunità. Conosciamo un po' tutte le espressioni di questa critica posizione. Noi pensiamo che la questione, posta all'interno della Chiesa Cattolica, attenti all'esistenza della Chiesa stessa e porti allo spegnersi della vera fiamma e di tutta la Tradizione.

La risposta alla critica corrosiva contemporanea non può essere – continua Paolo VI – se non l'obbedienza e una vita condotta sullo spirito del vangelo. Il rinnovamento della Chiesa

non può consistere in una metamorfosi, in una trasformazione radicale, che significherebbe infedeltà agli elementi essenziali e perpetui, ma deve essere un rinnovamento interiore dell'ispirazione cristiana conferita dalla grazia.
Non di parole v'è bisogno, ma di opere. Non di velleità, ma di generosità concreta, che paghi di persona. Non di contestazioni sterili, ma di sacrificio personale che trasformi il mondo fatiscente.
Questa tendenza ad affrancarsi gradualmente e ostinatamente dalla autorità e dalla comunione purtroppo può portare lontano. Mentre occorre fare proprie le parole del martire Ignazio, vescovo di Antiochia: Un solo altare, come un solo vescovo. Nulla fate senza il vescovo.
La chiesa è un'obbedienza liberatrice... In ogni società l'autorità esiste, l'autorità è indispensabile, con questo carattere: che l'autorità della Chiesa non sorge dalla base né, per sé, dal numero, ma deriva dall'originaria e immutabile istituzione di Cristo.
Se il primato è dello Spirito e dell'interiorità, l'inserimento organico nel corpo ecclesiale e la sottomissione all'autorità resta pur sempre un elemento insopprimibile, voluto dallo stesso Fondatore della Chiesa.


Eliaelia
00giovedì 1 gennaio 2015 18:31
4) la vera risposta

Allo scrittore di queste pagine sembra invece che l'attuale dissenso, pur essendo una genuina brama di purificazione, contesti in modo particolare le incrostazioni che nelle varie chiese si sono introdotte nel corso dei secoli. Di rado la crisi tocca la stessa essenza del cristianesimo. Sembra che vi sia un anelito inconscio dei credenti verso la semplicità, verso l'uguaglianza, verso la spontaneità del cristianesimo primitivo, che ridotto allo schema biblico, sarebbe la risposta più efficace alla contestazione e alla crisi odierna. So che Paolo VI ha ammonito i credenti contro il miraggio di un ritorno alla semplicità del vangelo:


Non ci illuda il criterio di ridurre l'edificio della chiesa, diventato largo e maestoso per la gloria di Dio, come un suo tempio magnifico, alle sue iniziali e minime proporzioni, quasi che quelle siano le sole vere, le sole buone.


Eppure penso che proprio questa sia l'unica via che permetterà alle varie chiese del futuro di uscire dal letargo odierno.. Ritorno alle origini. Ritorno al primo amore. Anche Dio alla gente di Israele, che aveva prevaricato, diceva di tornare ancora nel deserto dove Dio l'aveva accolta come fidanzata per farne la sua sposa:


Perciò, ecco, io l'attrarrò,
la condurrò nel deserto,
e parlerò al suo cuore...
Quivi essa mi risponderà
come ai giorni della giovinezza.
come ai giorni che uscì fuori dal paese d'Egitto
(Os 2, 14s)

Non propongo il ritorno al cristianesimo del vangelo per una pura brama archeologica, ma perché le direttive divine contenute nel vangelo sono quelle che ancora oggi meglio corrispondono alle esigenze dello spirito umano. Lo studio presente, attuato con amore e semplicità, vuole appunto servire alle persone di buona volontà per riscoprire il cristianesimo conforma alla parola biblica, che purtroppo nemmeno ai primi tempi fu attuata in tutta la sua profondità, per le continue debolezze umane. Ma occorre presentare al vero credente l'ideale cui deve aspirare, come seguace di quel Gesù che egli dovrebbe scegliere spontaneamente e non per un battesimo impostogli da bambino. Mi auguro che, attraverso queste pagine egli possa meglio conoscere le responsabilità che l'attendono in quanto egli stesso, con i fratelli della medesima fede, costituisce la vera chiesa di Dio. La sua responsabilità non deve tuttavia arrestarsi alla chiesa, ma irradiarsi al di là di essa, per plasmare una società che sia meno incredula dell'odierna e meglio improntata all'amore fraterno e alla solidarietà cristiana.


Eliaelia
00giovedì 15 gennaio 2015 21:05
1) Il popolo nella chiesa di Dio durante il corso dei secoli
a) Il laicato nei primi secoli della chiesa

Nel periodo subapostolico la chiesa appariva una «comunione di fratelli », i quali avevano però diversi compiti da svolgere come si ha in ogni corpo (cf. 1 Co 12, 12-31).

1. Tutto il popolo partecipava all'elezione dei suoi vescovi o del suo vescovo, quando all'inizio del 2° secolo cominciò a realizzarsi l'episcopato monarchico. La Didaché comandava: « Costituitevi dunque vescovi e diaconi degni del Signore».

Ippolito Romano nella sua Tradizione apostolica dichiarava: « Si ordini vescovo colui che è stato eletto da tutto il popolo ». Cipriano, il teologo dell'episcopato, in occasione di una polemica locale, così scriveva: «Si ordini all'episcopato che viene scelto dal popolo... La comunità ha diritto di scegliersi i sacerdoti (e i vescovi) degni e di rifiutare gli indegni ». Anzi, secondo Cipriano, sarebbe stato di origine divina l'obbligo di eleggere il vescovo «in presenza del popolo, alla vista di tutti, affinché sia approvato da tutti come degno e idoneo per giudizio e testimonianza pubblica ».
Eliaelia
00giovedì 15 gennaio 2015 21:05
Anche secondo Origene «per ordinare un vescovo si richiede la presenza del popolo, affinché tutti lo sappiano e affinché siano sicuri di aver scelto al sacerdozio il migliore del popolo, il più dotto, il più santo, che tutti supera con le sue virtù, e stia in presenza del popolo, affinché non vi sia luogo a resistenza e ad opposizione da parte di qualcuno».

In Italia la modalità per l'elezione dei vescovi mostra l'importanza che vi aveva il laicato. Clemente Romano dà questa norma per l'elezione dei vescovi presentandola addirittura come apostolica.

Coloro che furono stabiliti dagli apostoli, oppure in seguito da altri uomini distinti con l'approvazione di tutta la Chiesa, che hanno servito in modo irreprensibile il gregge di Cristo con umiltà, calma e senza volgarità, e che hanno ottenuto una buona testimonianza da parte di tutti e per molto, non crediamo che sia giusto scacciarli dal ministero (1 Corinzi 44, 3-5).

Nella più lunga lettera scritta da Ambrogio, quella ai cristiani di Vercelli (Ep 63), il vescovo milanese asseriva che l'elezione canonica di un vescovo esige due parti attive: i fedeli della città e i vescovi della provincia. O erano i vescovi a «ratificare» l'elezione del popolo o era il popolo ad approvare la proposta dei vescovi. Una regola, confermata anche da leone I negli anni 458-459, esigeva che il vescovo fosse scelto dal clero, richiesto dal popolo e consacrato dagli altri vescovi della provincia dopo il parere positivo del metropolita. Nel 366 a Roma le diatribe popolari per la scelta del vescovo sfociarono addirittura nel sangue e pare che il numero dei morti superasse il centinaio. Ancora nel 5° secolo a Roma Celestino I (+432) scriveva: « A nessuno si dia un vescovo che non vuole; si esiga il desiderio e il consenso del clero e del popolo», il che fu ribadito poco dopo da Leone M. con le sue note parole: « Colui che deve presiedere a tutti, sia scelto da tutti ».La stessa domanda tuttora usata nella elezione papale: « Accetti le elezione che noi abbiamo fatta? », mostra come all'origine fosse l'assemblea a scegliersi il proprio vescovo.
Eliaelia
00giovedì 15 gennaio 2015 21:06
La elezione di un vescovo è un fatto eminente nella vita della chiesa, un momento privilegiato in cui la comunità si esprime nella sua unità e nella sua diversità e testimonia perciò dello Spirito di cui è depositaria (...), (è) un fatto che, per gli elementi che la costituiscono, lascia intravvedere come sfondo una preminenza della concezione carismatica su quella autoritativa. (In Cipriano e Origene) la chiesa è vista come l'assemblea del popolo di Dio (...). Il popolo è chiamato de divina auctoritate ad essere testimone col clero dell'istituzione del sommo sacerdote (...). Da questo momento in avanti assistiamo a un lento scadere di questo tema da un piano più spirituale ad uno più giuridico. Le consacrazioni episcopali saranno d'ora in poi oggetto di discussioni in cui saranno più manifeste preoccupazioni di carattere giuridico o disciplinare.

2. Il popolo di una chiesa poteva criticare e giudicare i suoi ministri, quando non agivano rettamente: «Ognuno che venga nel nome del Signore sia accolto, poi dopo averlo approvato, lo conoscerete, perché avete capacità di distinguere la destra dalla sinistra ».

L'assemblea dei credenti poteva anche rimuovere gli indegni, come appare dal fatto che Clemente Romano non rimprovera quei di Corinto per aver rimosso i vescovi, ma per aver tolto da tale compito persone « degne » della massima fiducia.
Eliaelia
00giovedì 15 gennaio 2015 21:06
Anche dopo la susseguente esaltazione del vescovo, la comunità conservò a lungo coscienza della propria importanza. Eusebio riporta una lettera di Dionigi di Corinto: «scritta da lui e dalla chiesa da lui governata a Sisto e alla chiesa di Roma ». Il vescovo è solo il presidente della « celebrazione» comunitaria, per cui Cipriano scrive al suo presbitero di non voler « fare nulla privatamente senza il vostro consiglio e senza il consenso della chiesa». I problemi della chiesa – egli dice – «devono essere trattati non solo con i miei colleghi, ma con tutto il popolo ». Per Cipriano la chiesa locale è « un popolo adunato con il sacerdote, un gregge aderente al suo pastore. Devi quindi sapere che il vescovo è nella chiesa e la chiesa nel vescovo ».

Agostino usa espressioni fortemente comunitarie: «Per voi sono vescovo, ma con voi sono cristiano». « I cristiani sono per noi, i vescovi per voi »; i cristiani sono « servi » e « discepoli », il vescovo « conservo » e « condiscepolo ». Egli discute i problemi più importanti con i suoi fratelli affinché anch'essi siano consapevoli delle decisioni da prendere.
Eliaelia
00giovedì 15 gennaio 2015 21:06
3. Sino al 4° secolo i laici partecipavano alla amministrazione dei beni ecclesiastici, come appare dalle chiese africane nelle quali si conservarono più a lungo le antiche tradizioni: quivi i seniores laici scelti dalla comunità cristiana curavano le proprietà, determinavano l'entità delle rendite e sorvegliavano la manutenzione dei templi e degli edifici ecclesiastici. Ai laici si richiese anche il finanziamento dei nuovi templi sui possedimenti dei «signori » (potentiores), ma verso la fine del 4° secolo, per impedire che costoro si ritenessero padroni indiscussi delle costruzioni compiute sulla loro proprietà e si scegliessero un « curato» tra la gente del contado, i concili rivendicarono l'autorità del vescovo, al quale soltanto spettava la nomina del presbitero incaricato.

4. La storia dottrinale dei secoli 4° e 5° mostra come anche i laici si appassionassero alle dispute cristologiche. Ario ebbe per primo l'idea di divulgare la sua teologia con canzoni popolari, che viaggiatori, marinai e scaricatori del porto di Alessandria canticchiavano durante il loro lavoro; alle terme e dal droghiere si discuteva se il Figlio fosse inferiore al Padre o uguale a lui. Fu specialmente in Oriente – ma anche a Milano al tempo di Ambrogio – che i laici applicarono al cristianesimo la loro passione dialettica. Tali discussioni degenerarono talora, specialmente nelle grandi città, in sommosse popolari, anche d'intonazione politica. Tuttavia già da quel tempo il clero non concesse ai laici una responsabilità giuridica effettiva nei concili ecumenici o nei sinodi provinciali. La determinazione delle regole della fede divenne monopolio del vescovo. Siccome tutte le responsabilità spirituali passarono gradatamente in mano al clero, ne seguì che i laici migliori per dedicarsi alla vita dello spirito, lasciavano ad altri i problemi temporali e si ritiravano dal mondo scegliendo una vita di povertà, i ubbidienza e di preghiera. Così entro i due gruppi opposti di laici e di clero, mosso questo solo da amore per le realtà celesti, si introdusse ben presto una élite di laici: monaci, vergini e vedove, che furono gerarchizzati e posti al di sopra dei semplici fedeli.
Eliaelia
00giovedì 15 gennaio 2015 21:07
Nacque in tal modo l'ordine delle vedove, incaricate di preparare al battesimo, di curare gli ammalati, di servire i poveri, di pregare per la comunità che dava loro da vivere.

5. Il popolo partecipava pure ai sinodi e alle assemblee pubbliche. Durante una disputa di Origene con un certo Candido era presente anche il popolo; durante un sinodo dell'Arabia tutti i fedeli ascoltarono Origene. In una sua discussione con Eraclio egli parlò dinanzi al suo popolo e alla presenza di esso i vescovi firmarono gli atti conciliari.

Poggiano sull'Apocalisse, Nipote aveva sostenuto che alla fine del mondo vi sarebbe stato un regno millenario materiale ed edonistico, suscitando in tal modo un buon numero di seguaci. Dionigi di Alessandria, giunto ad Arsinoe, decise di discutere tale problema:

Trovandomi ad Arsinoe – narra Dionigi – convocai i presbiteri, i dottori e dei fratelli che sono nei villaggi. In presenza di tutti i fratelli che lo volevano, proposi di fare pubblicamente l'esame dell'opera (scritta da Nipote). Quando mi ebbero portato il libro, come un'arma e una muraglia inespugnabile, io sedetti con loro per tre giorni di seguito, da mattino a sera, e mi sforzai di correggere ciò che vi stava scritto. Ammirai molto l'equilibrio, l'amore per la verità, la facilità a seguire il ragionamento, l'intelligenza dei fratelli, quando ponevano con ordine e moderazione le loro questioni, le difficoltà e i loro assensi.

Ma più tardi, ai pochi fedeli che assistevano alle assise conciliari come puri testimoni, non fu più permesso di parlare e si lasciò loro unicamente il privilegio di acclamare con il loro Amen le decisioni episcopali già complete.
Eliaelia
00giovedì 15 gennaio 2015 21:07
b) Storia del laicato nel Medioevo

Nel Medioevo la società era concepita come un'entità giuridica in forma piramidale, sullo stile dell'impero romano con a capo l'imperatore e l'urbe (Roma). Solo i nobili avevano importanza, mentre gli altri servivano ai primi come schiavi, soldati, contadini o come membri delle varie corporazioni: fornai, tessitori od altro.

Gli schiavi che non avevano libertà individuale, non potevano unirsi nemmeno in associazioni; legati com'erano al patrimonio, si vendevano con i campi e le case che occupavano. I sudditi non avevano diritto di possedere idee proprie, ma erano obbligati a seguire le stesse idee religiose del principe, secondo l'assurdo assioma cuius regio eius et religio , stabilito a Münster nel 1648 dopo la guerra dei Trent'anni, per il quale in ogni regione doveva regnare soltanto la religione del sovrano. La conversione del capo portava seco la conversione di tutto il suo popolo: quando la regina Teodolinda a Agilulfo, re dei Longobardi, si fecero cristiani, tale divenne anche tutto il popolo.

Una simile mentalità entrò pure nella chiesa, e fece ritenere essenziali ad essa solo i vescovi e i sacerdoti, mentre i semplici credenti vennero ridotti a persone sottoposte in tutto ai primi, pronte solo a ricevere l'indirizzo dei «principi della chiesa». Un passo paolino servì di prova ai vescovi per spiegare che il fanciullo (parvulus) era il popolo e i «tutori» erano i re e i sacerdoti.
Eliaelia
00giovedì 15 gennaio 2015 21:08
Nell'elezione episcopale solo la forma ricordava la partecipazione del clero e del popolo, mentre la volontà regale era decisiva. La presenza del popolo si riduceva all'affermazione del diritto di non sentirsi assolutamente costretti ad accettare un capo indesiderato.

La chiesa divenne così un enorme impero, con Roma al vertice, la cui città ricevette un nuovo fulgore ad opera del papa, successori dei principi degli apostoli Pietro e Paolo, come predicava a suo tempo Leone Magno. Anche l'insegnamento religioso, che prima era in gran parte in mano ai laici, andò gradatamente divenendo monopolio del clero.

E' vero che Nicolò I, scrivendo nell' 865 all'imperatore Michele, pur sostenendo un netto dualismo di poteri tra Chiesa e Stato, ammise di fatto la possibilità di inviare ai concili anche i laici:

Dove avete letto che i vostri predecessori nell'impero siano intervenuti nei concili, se non forse in quelli in cui si trattò di problemi riguardanti la fede, che, perciò, appartengono non solo ai chierici, ma anche ai laici e quindi a tutti i cristiani.
Eliaelia
00giovedì 15 gennaio 2015 21:08
Ma usualmente i laici nella loro totalità erano considerati una massa ignorante, priva di qualsiasi voce in capitolo.

Nei secoli 11° e 12° rifiorì un'intensa attività laicale, in reazione alla taciturnità del clero, di solito molto ignorante e corrotto. Sorsero così i movimenti Valdesi e Francescani (all'inizio prevalentemente laici) che volevano tornare all'ideale evangelico e diffondere una più intima spiritualità. Fu il tempo nel quale molti laici venivano invitati a entrare nei monasteri come « conversi », per trascorrervi una vita tranquilla d'umiltà, di lavoro e di preghiera.

La riforma di Gregorio VII fu affiancata da movimenti laici, come quello della «pataria» milanese, che lo sostenne, con armi in pugno quand'era necessario, nella sua lotta contro il clero simoniaco e sposato. Tutto il popolo sotto la spinta del papa e dei monaci, insorse e reagì in massa contro il clero « licenzioso ». Sulla guida del grande canonista Graziano e di un rescritto di Innocenzo III, il glossatore ordinario delle Decretali di Gregorio IX affermava che ai semplici fedeli non è permesso partecipare ai concili, a meno che non vi siano utilmente invitati quando vi si agitino problemi di fede, questioni matrimoniali o decisioni che direttamente li riguardino.

Ma nonostante ciò i laici erano ritenuti una massa manovrabile dai vescovi, la cui funzione consisteva nell'ubbidire ciecamente alla gerarchia, come le pecore ubbidiscono ai loro pastori. «Le pecore sono animali privi di ragione, e perciò non possono avere parte alcuna nel governo della chiesa» diceva il generale dei gesuiti Lainer al concilio di Trento. I laici venivano chiamati « idioti » (idiòtai), vale a dire ignoranti e illetterati; oppure « mondani » (biòtikoi) in quanto legati al mondo. « L'antichità – affermava Bonifacio VIII – mostra all'evidenza che i laici furono frequentemente opposti al clero »
Eliaelia
00giovedì 15 gennaio 2015 21:09
c) Dal protestantesimo all'epoca moderna

1. Reazione protestante . La reazione protestante nel 16° secolo andò discoprendo nei laici il medesimo sacerdozio esistente nei vescovi e di conseguenza esaltò la dignità personale dei singoli cristiani, come risulta da inequivocabili asserzioni di Lutero, scritte nel 1523:

Hanno avuto... la trovata di chiamare ecclesiastici i papi, i vescovi, i preti e gli abitatori dei conventi, laici invece i principi, i signori, i commercianti e i contadini.
Ma i cristiani appartengono tutti allo stato ecclesiastico, né esiste tra loro differenza alcuna, se non quella dell'ufficio proprio di ciascuno. Infatti tutti siamo consacrati dal Battesimo...
Nessuno può negare che ogni cristiano possieda la parola di Dio e che da Dio sia ammaestrato e unto sacerdote... Se hanno la parola di Dio e da lui sono consacrati, hanno pure il dovere di confessare questa parola, d'insegnarla e diffonderla.
Eliaelia
00giovedì 15 gennaio 2015 21:09
Ma in campo cattolico, per conservare la posizione autoritaria acquistata dai vescovi nel corso dei secoli, si continuò ad insegnare che i « laici» devono accogliere la dottrina cattolica dai «vescovi » i quali sono i soli «competenti » (periti) in campo religioso e per questo sono insigniti del carisma dello Spirito Santo. Il culto si tenne in latino, anche se era conosciuto quasi solo dai sacerdoti, senza curarsi del fatto che esso era incomprensibile alla maggioranza dei laici. A giustificazione di tale atteggiamento si andava spulciando la Bibbia per raccogliervi quei passi che parlavano di ubbidienza e di sottomissione ai vescovi: « Siate ubbidienti ai vostri conduttori e siate loro sottomessi, poiché essi vigilano per le vostre persone, come coloro che ne dovranno rendere conto » (Eb 13, 17). E con un passaggio indebito applicavano ai vescovi e ai preti frasi che Gesù aveva rivolto ai suoi settanta o settantadue discepoli nell'inviarli in una particolare missione temporanea: « Chi ascolta voi ascolta me, e chi disprezza voi disprezza me, e chi sprezza me sprezza il Padre che mi ha mandato» (Lc 10, 16).

Siccome tale studio era compiuto ad usum delphini , si dimenticavano le altre espressioni bibliche che presentano la Chiesa come il «popolo di Dio », come la comunità dei credenti, come fratelli sotto la guida di un unico pastore (Mt 23, 7 ss).

Si giunse in tal modo all'affermazione del Card. Umberto di Silva Candida (m. 1061): « I laici dispongano e provvedano ai loro propri affari secolari, mentre il clero attenda ai suoi propri, vale a dire a quelli ecclesiastici ».
Eliaelia
00giovedì 15 gennaio 2015 21:09
2. Innovazione moderna. In questi ultimi due secoli un'enorme trasformazione si realizzava nella società: ogni essere umano andò acquistando una sua personalità e dignità che nessun altro uomo può annientare. La massa divenne una forza potente con la quale bisognava discutere e che non è riducibile a un puro mezzo strumentale per il benessere di pochi. Le masse operai acquistarono una loro propria forza d'urto, con la quale governo e potenti dovevano trattare e discutere.

In un primo tempo i vescovi cercarono di opporsi a tali idee e Pio XII continuò a presentare la Chiesa come una società gerarchica, i cui dirigenti hanno il potere di dettare leggi, di punire i trasgressori con la scomunica o con altre sanzioni canoniche. Tuttavia le masse, divenute ormai indifferenti alle scomuniche, vedendosi trattate come gente ignorante destinata a subire il volere di chi comanda, disertarono il culto, ridottosi anche presso molti fedeli a un fenomeno puramente tradizionale, e divennero del tutto indifferenti al fattore religioso, salvo rare eccezioni, come il laicato francescano, i Knights of Columbus «Cavalieri di Colombo» in America, l'Opus Dei nel mondo, i Focolarini e le ACLI in Italia.
Eliaelia
00giovedì 15 gennaio 2015 21:10
Si giunse così da parte dei teologi a un vero capovolgimento di idee, con la rivalutazione del «popolo di Dio » nella Chiesa, in accordo con il valore sempre più forte della massa nelle società civili odierne. All'antico Israele subentrò con il Cristo il nuovo «popolo di Dio », senza del quale non vi può essere la Chiesa, mentre prima si diceva che essa non può sussistere « senza il vescovo» (Ignazio).

La chiesa non si può considerare realmente costituita, non vive in maniera piena, non è segno perfetto della presenza di Cristo tra gli uomini, se alla gerarchia non si affianca e non collabora un laicato autenticamente e consapevolmente cattolico. Senza la presenza dinamica dei laici, infatti, il Vangelo non può penetrare bene addentro nella mentalità, nel costume e nell'attività di un popolo.

I laici sono ora posti su di un piano di vera uguaglianza « riguardo alla dignità e all'azione comune a tutti i fedeli nell'edificare il corpo di Cristo». Essi non sono più presentati come sudditi, come dei « carnales », in quanto « dopo la loro incorporazione a Cristo con il Battesimo sono costituiti Popolo di Dio e, nella loro misura, resi partecipi dell'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, e per la parte che loro compete, compiono nella chiesa e nel mondo la missione propria di tutto il popolo cristiano ».
Eliaelia
00giovedì 15 gennaio 2015 21:11
La Chiesa così concepita «ha per capo Cristo... ha per condizione la libertà e la dignità dei figli di Dio, nei cuori dei quali dimora lo Spirito Santo come in un tempio. Ha per legge il nuovo precetto di amare come lo stesso Cristo ci ha amati ». I fedeli, il cui «sensus fidei » è infallibile, sono esortati a manifestare

le loro necessità e i loro desideri, con quella libertà e fiducia che si addice ai figli di Dio e ai fratelli in Cristo. Secondo la scienza, la competenza e il prestigio di cui godono, hanno la facoltà, anzi talora il dovere, di far conoscere il loro parere su cose concernenti il bene della Chiesa... con verità, fortezza e prudenza, con riverenza e carità... I pastori riconoscano e promuovano la dignità e la responsabilità dei laici nella Chiesa; si servano volentieri del loro prudente consiglio, con fiducia affidino loro degli uffici in servizio della Chiesa e lascino loro libertà e campo di agire, anzi li incoraggino perché intraprendano delle opere anche di loro iniziativa...

La religione professata dalla Chiesa costituisce una comunità, una comunione di pensiero e di costume, genera un popolo, il popolo di Dio (Oss. Rom. 11-11-71).
Eliaelia
00giovedì 15 gennaio 2015 21:11
d) Doveri dei laici

Duplice è la missione dei laici, corrispondente al fatto che essi appartengono tanto alla Chiesa quanto alla società civile.

I laici appartengono insieme al popolo di Dio (Chiesa) e alla società civile. Alla prima nazione, e cioè alla società civile appartengono in forza della nascita, dell'educazione ricevuta, del patrimonio culturale che portano con sé, delle relazioni sociali che mantengono, della professione che esercitano, la quale contribuisce allo sviluppo della stessa società. Al popolo di Dio, e cioè alla Chiesa e al Cristo, essi appartengono attraverso la fede e il battesimo che hanno innestato in loro una nuova vita, ben più sublime della terrena; la vita soprannaturale della grazia li ha rinnovati completamente unendoli a Cristo e, per mezzo di lui, a Dio.
Eliaelia
00giovedì 15 gennaio 2015 21:12
1. I laici nel mondo, che è propriamente il loro campo d'azione, devono parlare di Dio ad altri uomini.

Noi avvertiamo – diceva Paolo VI – l'enorme difficoltà che oggi la gente incontra nel parlare di Dio. Il senso religioso oggi si è come affievolito, spento, svanito. Il fatto è grave, estremamente complesso, anche se si presenta in pratica così semplice, e invade le masse, trova propaganda e adesione nella cultura e nel costume, arriva dappertutto come fosse una conquista del pensiero e del progresso; sembra caratterizzare l'epoca nuova, senza religione, senza fede, senza Dio, come se l'umanità fosse emancipata da una condizione superflua e oppressiva. Ecco allora la necessità di una terapia che rialzi l'uomo: il silenzio, l'amicizia, l'amore domestico, il contatto con la natura, l'esercizio del pensiero e del bene. E soprattutto la preghiera.
I laici con l'esempio e la parola devono quindi presentarsi come i profeti di un mondo invisibile ma reale, quello della vita imperitura donataci da Cristo. Così anche il mondo scristianizzato potrà nuovamente venire riconsacrato a Dio.

Nella chiesa, poi, i laici devono supplire al clero dov'esso è insufficiente, « mettendosi al servizio di Cristo e della Chiesa », come maestri di religione e come strumenti di opere caritatevoli. A Modena è sorta nel villaggio artigiano la parrocchia di S. Giuseppe, retta da due sacerdoti e da un laico, ex seminarista, che lavorando come operai, dedica il suo tempo libero al lavoro parrocchiale.
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