LA SPIRITUALITÀ DEI PADRI DEL DESERTO
L'INIZIO DEL MONACHESIMO
Il monachesimo è un movimento spirituale che sorge in alcune religioni che, seppure in forme diverse, viene accomunato dalla ricerca di una realtà che trascenda la vita presente, mediante l'ascesi, la preghiera e la contemplazione, vivendo in solitudine o in comunità più o meno ristrette. Grandi movimenti monastici li troviamo nell'induismo, nel buddhismo e nel cristianesimo.
Nel mondo cristiano, il monachesimo ebbe origine tra la fine del III e gli inizi del IV secolo, in un periodo particolare, in cui finiva il mondo cosiddetto antico, e l’impero romano era già diviso fra Occidente ed Oriente. In quell’epoca, la Chiesa possedeva un’organizzazione abbastanza solida, una gerarchia, un culto, una letteratura. Col monachesimo inizia una forma di vita consacrata interamente alla preghiera e alla penitenza, nell’isolamento dal mondo.
Alcuni cristiani, specialmente in Egitto e in Palestina, ma anche in Siria e in Mesopotamia, iniziarono a ritirarsi nel deserto con l’intento di voler riaffermare che "il regno di Dio non è di questo mondo" e rivendicare i più alti valori dello spirito, insieme ad una protesta (più o meno esplicita) contro i pericoli della mondanità. In realtà la sua origine risale ai primi convertiti che, nelle città, vivevano in modo radicale la propria fede alla ricerca di un'unione intima ed esclusiva con Cristo. Il loro ideale era quello di piacere soltanto a Dio e di anticipare in qualche modo sulla terra quella vita trascendente in cui Dio è "tutto in tutti".
L’etimologia del termine “monaco” (dal greco mónachos = unico, solo) ha una lunga storia che inizia con Platone. Ha avuto diverse interpretazioni: Gerolamo la intende con “solitario”; i padri orientali con “persona unificata”; Agostino con persona mirante all’“unanimità” coi fratelli; nel mondo siriaco pensando al monaco come imitatore di Cristo, “l’unigenito”.
La prima espressione di vita monastica è sicuramente quella eremitica o anacoretica. Gerolamo definisce gli anacoreti quanti abitano da soli nei deserti e prendono il loro nome dal fatto che si sono ritirati lontano dagli uomini. Il termine originario greco anachoréo (= ritirarsi) significa la fuga nel deserto dei debitori insolventi. Gli anacoreti si caratterizzano per il loro isolamento pressoché totale, l'astinenza sessuale, le penitenze, il lavoro manuale e l'assenza di un superiore. In mancanza di fonti attendibili, non è possibile sapere dettagli sull'istituzione di questo tipo di vita. Solo successivamente farà seguito una vita associata o cenobitica (dal greco koínos bíos = vita comune). Fu Pacomio (292-347) che, dopo un'esperienza personale di vita eremitica, diede forma al cenobitismo impostato sulla convivenza nella totale condivisione dei beni e nella preghiera comune, nell'osservanza della stessa regola, nel lavoro manuale e nell'obbedienza all'abate. La sua prima comunità venne fondata nel 323 a Tabennisi, nell'alto Egitto. La sua Regola, di 194 articoli, venne osservata in poco più di vent'anni da nove conventi maschili e due femminili.
Anche Antonio il Grande (250-355), dopo un periodo di anacoretismo divenne "padre" di alcuni piccoli monasteri che facevano capo a lui. Basilio di Cesarea (330-379), grazie alle esperienze monastiche che lo avevano preceduto, iniziò ad apportare modifiche e correzioni alle forme cenobitiche già in atto. Egli impostò la convivenza comunitario su un tipo di rapporto amicale, convinto che soltanto la vita cenobitica garantisse l'esercizio della carità. La coabitazione costituisce infatti un campo di prova, un continuo esercizio , un'ininterrotta meditazione dei precetti del Signore. Basilio limitò il numero dei monaci che vivevano assieme e inserì i monasteri all'interno della realtà sociale ed ecclesiale, aggregando ospizi, scuole, orfanotrofi. Ridimensionò l'impegno dei lavori manuali, dando maggior rilievo alla preghiera e allo studio. Infine, Gerolamo (347-419) riuscì ad esportare nell'Occidente queste forme di vita ascetica sorte nel mondo orientale.