Eusebio prosegue:
Tra molte altre considerazioni, gli rivolge queste testuali parole: «La controversia non riguarda solo i giorni, ma la forma stessa del digiuno. Alcuni ritengono che si debba digiunare un giorno solo, altri due, altri vari giorni; altri ancora computano quaranta ore diurne e notturne, al loro digiuno [qui si parla del digiuno strettissimo che precedeva la Pasqua, non di quello quaresimale, n.d.r.]. Tale varietà nell'osservanza del digiuno non è sorta ai nostri giorni, ma da molto tempo, sotto i nostri predecessori; essi, non essendo probabilmente sufficientemente oculati, trasmisero ai posteri una consuetudine instauratasi per faciloneria e ignoranza. Pur tuttavia essi vissero in pace tra di loro, e anche noi viviamo in pace tra di noi: la diversità del digiuno conferma l'unità della fede».
I vescovi dell'Asia, che sostenevano fortemente di doversi osservare l'uso loro tramandato dagli antenati, erano presieduti da Policrate. Questi, nella lettera da lui scritta a Vittore e alla Chiesa romana, espone in questi termini la tradizione a lui pervenuta: «Noi celebriamo il giorno autentico, e non gli abbiamo né aggiunto né tolto nulla. È nell'Asia, infatti, che si sono estinti i grandi luminari i quali risorgeranno nel giorno della parusia del Signore, quando egli verrà con gloria dal cielo, e risusciterà tutti i santi. Essi sono: Filippo, uno dei dodici apostoli, che si addormentò a Gerapoli, e le due sue figlie invecchiate nella verginità; una terza sua figlia, che visse nello Spirito Santo, riposa a Efeso. Poi anche Giovanni, che riposò sul petto del Signore, che fu sacerdote e portò la lamina d'oro, che fu martire e maestro: egli si è addormentato a Efeso. Inoltre Policarpo, che fu vescovo e martire a Smirne; e Trasea, vescovo di Eumenia e martire, che riposa a Smirne. Che bisogno c'è poi di ricordare Sagari, vescovo e martire, addormentatosi a Laodicea? E il beato Papirio e l'eunuco Melitone, che agì sempre mosso dallo Spirito Santo, e che giace a Sardi in attesa della visita celeste, onde risorgerà dai morti? Tutti questi, in conformità al Vangelo, celebrarono la Pasqua al quattordicesimo giorno, senza nulla variare, seguendo la regola della fede; e anche io Policrate, il più piccolo di tutti voi, osservo la tradizione dei miei parenti, alcuni dei quali furono miei predecessori. Sette miei antenati infatti furono vescovi e io sono l'ottavo. Essi sempre celebrarono la Pasqua nel giorno in cui il popolo ebreo si astiene dal pane fermentato. Io, o fratelli, ho sessantacinque anni nel Signore; sono stato in rapporto con i fratelli di tutto il mondo, ho letto tutta la sacra Scrittura; non mi lascio perciò atterrire dalle minacce. Uomini più grandi di me hanno detto: Obbedire prima a Dio che agli uomini! (At 5,29)».
A ciò soggiunge che i vescovi presenti alla stesura della lettera erano del suo stesso parere, e dice: «Potrei ricordare anche i vescovi qui presenti, che voi mi chiedeste di convocare e io ho convocato. Se scrivessi i loro nomi, sarebbero un bel numero. Pur avendo conosciuto quanto io sia un piccolo uomo, hanno approvato la mia lettera, consci che non porto invano la mia canizie e che sempre sono vissuto nel Signore Gesù».
In seguito a ciò, il capo della Chiesa romana, Vittore, intende staccare immediatamente dalla comunione ecclesiale tutte le comunità dell'Asia e le Chiese confinanti, come eterodosse, e per lettera minaccia apertamente che tutti fedeli di quei paesi andavano incontro alla scomunica. Ma ciò non piacque a tutti i vescovi e molti lo esortarono, al contrario, ad avere cura della pace, dell'unità e dell'amore verso il prossimo. Ci sono state conservate anche le loro lettere, con cui si rivolgono abbastanza aspramente a Vittore. Fra di essi vi fu anche Ireneo che scriveva a nome dei fratelli della Gallia, cui presiedeva. È d'accordo che si debba celebrare il mistero della risurrezione del Signore solamente di domenica, ma esorta anche rispettosamente Vittore a non scomunicare intere Chiese di Dio che osservano l'usanza loro tramandata.