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Rassegna libraria Voci dalla Shoah

Ultimo Aggiornamento: 22/05/2011 20:38
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22/05/2011 20:20

Rassegna libraria Voci dalla Shoah


Capitolo 10 - Le Reazioni


Zvi Kolitz
Yossl Rakover si rivolge a Dio
Milano, Adelphi, 1997



Il testo, a lungo ritenuto il testamento autentico di uno degli ultimi combattenti della rivolta del ghetto di Varsavia, è, in realtà opera di un ebreo lituano scappato all'età di 17 anni con la madre e i suoi tre fratelli, nel 1937, prima che la Lituania fosse stritolata dal patto fra la Germania e l'Unione Sovietica.
Dopo il patto Hitler-Stalin, l'Armata Rossa invase la Lituania. Furono subito chiuse le scuole ebraiche, proibite le organizzazioni sionistiche, arrestati molti ebrei.
Nel 1940 Kolitz era già a Gerusalemme. Nel giugno 1941 la popolazione lituana accolse in festa i carri armati tedeschi che spezzavano il giogo bolscevico. Cominciò il bagno di sangue degli ebrei, tramite le Einsatzgruppen. Il primo dicembre del 1941 lo Standartenfuhrer delle SS Karl Jaeger spedì da Kaunas a Berlino un rapporto di 9 pagine, dove, dopo un calcolo meticoloso di 137.346 persone uccise, concludeva:



Oggi sono in grado di assicurare che il nostro obiettivo, risolvere in Lituania la questione ebraica, è stato pienamente raggiunto dall'Einsatzkommando 3. La Lituania è ripulita dagli ebrei.


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Zvi Kolitz decise di scrivere sedici mesi dopo la fine della guerra.



Ricordo perfettamente che scrissi la conclusione all'inizio e l'esordio alla fine.



Questa la conclusione:



Il mio rebbe soleva raccontarmi la storia di un ebreo che era sfuggito con la moglie e il figlio all'Inquisizione spagnola, e con una piccola barca, su un mare in tempesta, aveva raggiunto un'isoletta rocciosa. Cadde un fulmine e uccise sua moglie. Venne una tempesta e gettò suo figlio in mare. Solo e derelitto, nudo e scalzo, stremato dalle tempeste e atterrito dai tuoni e dai fulmini, con i capelli arruffati e le mani tese a Dio, l'ebreo proseguì il suo cammino sull'isola rocciosa e deserta, e si rivolse al suo Creatore con queste parole: “Dio d'Israele, sono fuggito qui per poterti servire indisturbato, per obbedire ai Tuoi comandamenti e santificare il Tuo nome. Tu però fai di tutto perché io non creda in Te. Ma se con queste prove pensi di riuscire ad allontanarmi dalla giusta via, Ti avverto, Dio mio e Dio dei miei padri, che non Ti servirà a nulla. Mi puoi offendere, mi puoi colpire, mi puoi togliere ciò che di più prezioso e caro posseggo al mondo, mi puoi torturare a morte, io crederò sempre in Te. Sempre Ti amerò, sempre, sfidando la Tua stessa volontà!”.
E queste sono anche le mie ultime parole per Te, mio Dio colmo d'ira: Non ti servirà a nulla! Hai fatto di tutto perché non avessi più fiducia in Te, perché non credessi più in Te, io invece muoio così come sono vissuto, pervaso di un'incrollabile fede in Te.
Sia lodato in eterno il Dio dei morti, il Dio della vendetta, della verità e della giustizia, che presto mostrerà di nuovo il suo volto al mondo, e ne scuoterà le fondamenta con la sua voce onnipotente.
Ascolta, Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno. Nella tua mano, Signore, affido il mio spirito.



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22/05/2011 20:21

Il protagonista del racconto si trova in un bunker sotterraneo, il 28 aprile 1943, giorno in cui si spense l'ultima resistenza nel ghetto. Ricorda l'uccisione della moglie e dei suoi sei figli, poi si rivolge a Dio:



Non posso dire, dopo aver assistito a tanto, che il mio rapporto con Dio non sia cambiato, ma posso affermare con assoluta certezza che la mia fede in lui non è cambiata minimamente. Prima, quando vivevo nel benessere, avevo con lui il rapporto che si ha con un instancabile benefattore, e nei suoi confronti rimanevo sempre in debito. Ora quello che ho con lui è il rapporto con uno che anche a me deve qualcosa, che mi deve molto. E poiché sento che anche lui è in debito con me, credo di avere il diritto di esigere ciò che mi aspetta. Io però non dico come Giobbe che Dio deve puntare il dito sul mio peccato per indicarmi il motivo di ciò che mi accade. Persone più dotte e migliori di me sono fermamente convinte che ora non si tratti più di un castigo per i peccati, ma che il mondo sia in una condizione affatto particolare: un periodo di occultamento del volto divino.
Dio ha nascosto il suo volto al mondo e in questo modo ha consegnato gli uomini ai loro istinti selvaggi; ritengo quindi assai naturale, purtroppo, che quando la furia degli istinti domina il mondo, chi rappresenta la santità e la purezza debba essere la prima vittima. Questo pensiero non mi è forse di grande conforto, ma poiché il destino del nostro popolo è stabilito in base a un calcolo non terreno, materiale, fisico, ma ultraterreno, spirituale e divino, chi crede deve considerare questi avvenimenti parte di un grande disegno di Dio, davanti al quale le tragedie umane hanno poca importanza. Ciò non significa però che gli animi devoti del mio popolo debbano accogliere il verdetto, e dire che Dio e il suo operato sono giusti. Dire che meritiamo i colpi che abbiamo ricevuto è una bestemmia, una profanazione del “Nome Ineffabile” di ebreo, ed equivale in tutto e per tutto a profanare il Nome Ineffabile di Dio, perché denigrando se stessi si bestemmia Dio.
In una simile condizione, è ovvio, non aspetto miracoli e non chiedo al mio Dio di avere pietà di me. Mi tratti pure con la stessa indifferenza del suo volto nascosto che ha usato con milioni di persone del suo popolo. Non sono un'eccezione, e non mi aspetto un trattamento di favore.

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22/05/2011 20:21

Il mondo, lasciato a sé stesso da Dio, è precipitato nel caos. L'ultimo sopravvissuto del ghetto, in attesa dell'ultimo assalto nemico, riflette sull'accusa di vendetta, fatta alla religione ebraica:



Mai avrei immaginato che la morte di esseri umani, se pure nemici e nemici di tale fatta, potesse rendermi tanto felice. Gli insani spiriti umanitari dicano pure quello che vogliono, ma la vendetta è stata e rimarrà sempre l'ultimo mezzo di lotta e la massima soddisfazione interiore per gli oppressi. Finora non avevo mai compreso esattamente quel passo della Gemara in cui si dice che “la vendetta è sacra, poiché è menzionata tra due nomi di Dio, infatti è scritto: Dio delle vendette, Signore!”. Ora lo capisco. Ora lo vivo, e ora so perché il mio cuore esulta quando rammento che già da migliaia di anni chiamiamo il nostro Creatore “Dio della vendetta”: Dio delle vendette, Signore!
E ora che sono in grado di vedere la vita e il mondo da una prospettiva particolarmente chiara, concessa solo in rare occasioni a un uomo in punto di morte, mi sembra che vi sia una strana ma significativa differenza tra il nostro Dio e il Dio venerato dai popoli d'Europa: benché il nostro Dio sia il Dio della vendetta, e nella nostra Legge abbondino le minacce di morte per le più piccole colpe, tuttavia si racconta nella Gemara che era sufficiente che il Sinedrio, il più alto tribunale del nostro popolo quando era libero nella sua terra, pronunciasse una sola condanna a morte in settant'anni, perché si potesse gridare ai giudici: “Assassini!”. Il Dio dei popoli invece, che viene chiamato Dio d'amore, ha comandato di amare ogni essere creato a sua immagine; ma nel suo nome veniamo assassinati senza pietà, giorno dopo giorno, da duemila anni.

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22/05/2011 20:22

Riafferma allora la sua fierezza di essere ebreo:



Sono fiero di essere ebreo, non malgrado il trattamento che il mondo ci riserva, ma proprio a causa di questo trattamento. Mi vergognerei di appartenere ai popoli che hanno generato e cresciuto gli scellerati responsabili dei crimini compiuti contro di noi.
Sono fiero del mio essere ebreo. Perché essere ebreo è un'arte. Perché essere ebreo è difficile. Non è un'arte essere inglese, americano o francese. E' forse più facile e più comodo essere uno di loro, ma certo non è più onorevole. Si, è un onore essere ebreo!
Ritengo che essere ebreo significhi essere un combattente, uno che nuota senza tregua contro una sordida, malvagia corrente umana. L'ebreo è un eroe, un martire, un santo. Voi, nemici, dite che siamo spregevoli? Io credo che siamo migliori e più nobili di voi, ma se anche fossimo peggiori, mi sarebbe piaciuto vedervi al nostro posto.
Sono felice di appartenere al più infelice di tutti i popoli della terra, la cui Legge rappresenta il grado più alto e più bello di tutti gli statuti e le morali. Adesso questa nostra Legge è resa ancor più santa ed eterna dal fatto d'essere così violata e profanata dai nemici di Dio.
Penso che essere ebreo sia una virtù innata. Si nasce ebrei così come si nasce artisti. Non ci si può liberare dall'essere ebrei. E' stata una qualità divina insita in noi ad aver fatto di noi un popolo eletto. Chi non lo comprende, non capirà mai il significato più alto del nostro martirologio. “Non vi è cosa più intatta di un cuore spezzato” ha detto una volta un grande rabbino. E' non vi è popolo più eletto di uno sempre colpito. Anche se non credessi che un tempo Dio ci abbia destinati a diventare popolo eletto, crederei che ci abbiano resi eletti le nostre sciagure.

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22/05/2011 20:22

Credo nel Dio d'Israele, anche se ha fatto di tutto perché non credessi in lui. Credo nelle sue leggi, anche se non posso giustificare i suoi atti. Il mio rapporto con lui non è più quello di uno schiavo verso il suo padrone, ma di un discepolo verso il suo maestro. Chino la testa dinanzi alla sua grandezza, ma non bacerò la verga con cui mi percuote. Io lo amo, ma amo di più la sua Legge, e continuerei a osservarla anche se perdessi la mia fiducia in lui. Dio significa religione, ma la sua Legge rappresenta un modello di vita, e quanto più moriamo in nome di quel modello di vita, tanto di più esso diventa immortale.
Perciò concedimi, Dio, prima di morire, ora che in me non vi è traccia di paura e la mia condizione è di assoluta calma interiore e sicurezza, di chiederTi ragione, per l'ultima volta nella vita.
Tu dici che abbiamo peccato? Di certo è così. Che perciò veniamo puniti? Posso capire anche questo. Voglio però sapere da Te: Esiste al mondo una colpa che meriti un castigo come quello che ci è stato inflitto?
Tu dici che ripagherai i nostri nemici con la stessa moneta? Sono convinto che li ripagherai, e senza pietà, anche di questo non dubito. Voglio però sapere da Te: Esiste al mondo una punizione che possa far espiare il crimine commesso contro di noi?
Tu dici che ora non si tratta di colpa e punizione, ma che hai nascosto il Tuo volto, abbandonando gli uomini ai loro istinti? Ti voglio chiedere, Dio, e questa domanda brucia dentro di me come un fuoco divorante: Che cosa ancora, sì, che cosa ancora deve accadere perché Tu mostri nuovamente il Tuo volto al mondo?
Ti voglio dire in modo chiaro ed aperto che ora più che in qualsiasi tratto precedente del nostro infinito cammino di tormenti, noi torturati, disonorati, soffocati, noi sepolti vivi e bruciati vivi, noi oltraggiati, scherniti, derisi, noi massacrati a milioni, abbiamo il diritto di sapere : Dove si trovano i confini della Tua pazienza?
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22/05/2011 20:22

E qualcosa ancora Ti voglio dire: Non tendere troppo la corda, perché, non sia mai, potrebbe spezzarsi. La prova cui Tu ci hai sottoposti è così ardua, così insostenibilmente ardua, che Tu devi, Tu hai l'obbligo di perdonare quanti nel Tuo popolo si sono allontanati da Te nella loro disgrazia e nella loro indignazione.
Perdona quelli che si sono allontanati da Te nella loro disgrazia, ma anche quanti nel Tuo popolo si sono allontanati da Te nella loro fortuna. Hai trasformato la nostra esistenza in una lotta così orribile e infinita che i vigliacchi tra noi hanno per forza cercato di evitarla, di fuggirla ovunque potessero. Non li punire per questo: i vigliacchi non si puniscono, i vigliacchi si compatiscono. E di loro più che di noi abbi misericordia, Dio.
Perdona quelli che hanno bestemmiato il Tuo nome, che sono andati a servire altri dèi, che sono diventati indifferenti verso di Te. Tu li hai percossi a tal punto che non credono più che Tu sia il loro padre, che ci sia comunque un padre per loro.
Quanto a me, Ti dico queste parole perché io credo in Te, perché credo in Te più che mai, perché ora so che sei il mio Dio, poiché di certo non sei, no, non puoi essere il Dio di quanti, con le loro azioni, hanno dato la prova più atroce di empietà in armi.
Se non sei il mio Dio, di chi sei allora il Dio? Il Dio degli assassini?
Se quelli che ci odiano, che ci massacrano, sono uomini delle tenebre e malvagi, che cosa sono io allora se non colui che rappresenta una scintilla della Tua luce, della Tua bontà?
Non Ti posso lodare per le azioni che tolleri, ma Ti benedico e Ti lodo per la Tua stessa esistenza, per la Tua terribile maestà - deve essere immane se persino quanto accade ora non lascia in Te un'impressione decisiva!
Ma proprio perché Tu sei così grande e io così piccolo, Ti chiedo, Ti avverto, nel Tuo stesso nome: Cessa di esaltare la Tua grandezza lasciando colpire gli innocenti!
Non Ti chiedo neanche di annientare i colpevoli. E' nella logica inesorabile degli avvenimenti che alla fine si annientino da soli, poiché con la nostra morte è stata uccisa la coscienza del mondo, poiché un mondo è stato assassinato con l'assassinio d'Israele.
Il mondo sarà divorato dalla propria scelleratezza, sarà affogato nel suo stesso sangue.
Gli assassini si sono già condannati da sé, e a quella sentenza non potranno più sottrarsi.
Ma quanti tacciono dell'assassinio, quanti non hanno timore di Te, ma si preoccupano di ciò che dirà la gente (stolti! Non sanno che la gente non dirà nulla!), quanti esprimono la loro simpatia per chi affoga, ma non muovono un dito per salvarlo, costoro, ah, costoro, Ti scongiuro, Dio, puniscili come fossero ladri!


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22/05/2011 20:22

Per ultimo Kolitz scrisse l'esordio:



Credo nel sole, anche quando non splende, credo nell'amore anche quando non lo sento, credo in Dio anche quando tace. (Scritta sul muro di una cantina di Colonia, dove alcuni ebrei si nascosero per tutta la durata della guerra).



Zvi Kolitz, ebreo praticante, vive ora negli Stati Uniti, dopo aver partecipato alla costituzione dello Stato di Israele.



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22/05/2011 20:23

Eugen Kogon
L'Etat SS
Editions de la Jeune Parque, Manchecourt, 1993



Eugen Kogon, internato a Buchenwald scrive questo testo nel novembre 1945. E' un libro scritto su commissione. Il 16 aprile 1945, cinque giorni dopo la liberazione del campo, un gruppo di 5 ricercatori viene incaricato di studiare la vita del campo di Buchenwald. Sono Albert-G.Rosenberg, Max-M.Kimental, Richard Akselrad, Alfred-H.Sampson e Ernest-S. Biberfield. Il campo è il primo a cadere intatto nelle mani degli Alleati. Dopo poco tempo gli esperti si rendono conto che è impossibile per chi non ha vissuto all'interno del campo descriverne la vita. Affidano allora l'incarico ad Eugen Kogon. Il suo manoscritto viene sottoposto a numerosi altri internati, per una verifica.
Primo Levi, in una appendice a Se questo è un uomo, scritta a partire dalle domande degli studenti alle conferenze da lui tenute, così scrive del testo di Kogon:



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22/05/2011 20:23

Il riassunto più convincente della situazione tedesca di allora l'ho trovato nel libro Der SS Staat (Lo Stato delle SS) di Eugen Kogon, già prigioniero a Buchenwald, poi professore di Scienze Politiche all'Università di Monaco:

Che cosa sapevano i tedeschi dei campi di concentramento? Oltre la loro concreta esistenza, quasi niente, ed anche oggi ne sanno poco. Indubbiamente, il metodo di mantenere rigorosamente segreti i particolari del sistema terroristico, rendendo così l'angoscia indeterminata, e quindi tanto più profonda, si è rilevato efficace. Come ho detto altrove, perfino molti funzionari della Gestapo ignoravano cosa avveniva all'interno dei Lager, in cui pure essi inviavano i loro prigionieri; la maggior parte degli stessi prigionieri avevano un'idea assai imprecisa del funzionamento del loro campo e dei metodi che vi venivano impiegati. Come avrebbe potuto conoscerli il popolo tedesco? Chi ci entrava si trovava davanti ad un universo abissale, per lui totalmente nuovo: è questa la miglior dimostrazione della potenza e dell'efficacia della segretezza.
Eppure... eppure, non c'era neanche un tedesco che non sapesse dell'esistenza dei campi, o che li ritenesse dei sanatori. Erano pochi i tedeschi che non avessero un parente o un conoscente in campo, o almeno che non sapessero che il tale o il tal altro ci era stato mandato. Tutti i tedeschi erano stati testimoni della multiforme barbarie antisemitica: milioni fra di loro avevano assistito, con indifferenza, o con curiosità, o con sdegno, o magari con gioia maligna, all'incendio delle sinagoghe o all'umiliazione di ebrei ed ebree costretti ad inginocchiarsi nel fango delle strade. Molti tedeschi avevano saputo qualcosa dalle radio straniere, e parecchi erano venuti a contatto con prigionieri che lavoravano all'esterno dei Lager. A non pochi tedeschi era accaduto di incontrare, nelle strade o nelle stazioni ferroviarie, schiere miserabili di detenuti: in una circolare datata 9 novembre 1941, e indirizzata dal capo della Polizia e dei Servizi di Sicurezza a tutti (...) gli uffici di Polizia e ai comandanti dei Lager, si legge: “in particolare, si è dovuto constatare che durante i trasferimenti a piedi, per esempio dalla stazione al campo, un numero non trascurabile di prigionieri cadono per via morti o svenuti per esaurimento... E' impossibile impedire che la popolazione prenda conoscenza di simili avvenimenti”.
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22/05/2011 20:23

Neppure un tedesco poteva ignorare che le prigioni erano strapiene, e che in tutto il paese avevano luogo di continuo esecuzioni capitali; si contavano a migliaia i magistrati e i funzionari di polizia, gli avvocati, i sacerdoti e gli assistenti sociali che sapevano genericamente che la situazione era assai grave. Erano molti gli uomini d'affari che avevano rapporti di fornitura con le SS dei Lager, gli industriali che porgevano domanda d'assunzione di lavoratori-schiavi agli uffici amministrativi ed economici delle SS, e gli impiegati degli uffici di assunzione che (...) erano al corrente del fatto che molte grandi Società sfruttavano mano d'opera schiava. Non erano pochi i lavoratori che svolgevano la loro attività in prossimità dei campi di concentramento, o addirittura entro di essi. Vari professori universitari collaboravano con i centri di ricerche mediche istituiti da Himmler, e vari medici dello Stato e di Istituti privati collaboravano con gli assassini di professione. Un buon numero di membri dell'aviazione militare erano stati trasferiti alle dipendenze delle SS, e dovevano pure essere al corrente di quanto ivi si svolgeva. Erano molti gli alti ufficiali dell'esercito che sapevano dei massacri in massa dei prigionieri di guerra russi nei Lager, e moltissimi i soldati e i membri della Polizia Militare che dovevano sapere con precisione quali spaventosi orrori venivano commessi nei campi, nei ghetti, nelle città e nelle campagne dei territori orientali occupati. E' forse falsa una sola di queste affermazioni?

A mio parere, nessuna di queste affermazioni è falsa, ma un'altra dev'essere aggiunta a completare il quadro: a dispetto delle varie possibilità d'informazione, la maggior parte dei tedeschi non sapevano perché non volevano sapere. E' certamente vero che il terrorismo di Stato è un'arma fortissima, a cui è ben difficile resistere; ma è anche vero che il popolo tedesco, nel suo complesso, di resistere non ha neppure tentato. Nella Germania di Hitler era diffuso un galateo particolare: chi sapeva non parlava, chi non sapeva non faceva domande, a chi faceva domande non si rispondeva. In questo modo il cittadino tedesco tipico conquistava e difendeva la sua ignoranza, che gli appariva una giustificazione sufficiente della sua adesione al nazismo: chiudendosi la bocca, gli occhi e le orecchie, egli si costruiva l'illusione di non essere a conoscenza, e quindi di non essere complice, di quanto avveniva davanti alla sua porta.
Sapere, e far sapere, era un modo (in fondo non poi tanto pericoloso) di prendere le distanze dal nazismo; penso che il popolo tedesco, nel suo complesso, non vi abbia fatto ricorso, e di questa deliberata omissione lo ritengo pienamente colpevole.
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22/05/2011 20:23

Primo Levi
La stampa. Terza pagina. Racconti e saggi di Primo Levi
La stampa, Torino, 1986



Levi, sulle colonne della Stampa, in data 23 dicembre 1960, così commentava la notizia della cattura di R. Baer, successore di R. Hoess, nel comando del campo di Auschwitz, in un articolo dal titolo Il comandante di Auschwitz:



Di Richard Baer, fino a oggi, non molto si sapeva. E' citato brevemente nelle opere di Hoess, suo predecessore, che ce lo descrive, nelle terribili settimane del gennaio 1945, perplesso e incerto sul da farsi: è a Gross-Rosen, un Lager di dieci-dodicimila prigionieri, e si sta diligentemente occupando di trasferirvi i centoquarantamila di Auschwitz, che è indispensabile “recuperare” davanti all'improvvisa avanzata russa. Si pensi a che cosa significa il rapporto fra queste due cifre: si pensi a quell'altra soluzione, che buon senso e umanità e prudenza insieme suggerivano, e cioè di prendere atto dell'inevitabile, lasciare lo stuolo di semivivi al loro destino, aprire le porte e andarsene; si pensi a tutto questo, e la figura dell'uomo ne risulterà sufficientemente definita.
Appartiene al tipo umano più pericoloso di questo secolo. A chi ben guardi, senza di lui, senza gli Hoess, gli Eichmann, i Kesselring, senza i mille altri fedeli e ciechi esecutori di ordini, le grandi belve, Hitler, Himmler, Goebbels, sarebbero state impotenti e disarmate. Il loro nome non figurerebbe nella storia: sarebbero passati come fosche meteore nel cielo buio dell'Europa. E' avvenuto il contrario; il seme gettato da questi neri apostoli, la storia lo ha dimostrato, ha attecchito in Germania con sconcertante rapidità e profondità in tutti i ceti, e ha condotto a una proliferazione di odio che ancora oggi avvelena l'Europa e il mondo.

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22/05/2011 20:24

Per quasi un anno Levi è stato suddito di Baer, con decine di migliaia di detenuti. Ma niente ha turbato la storia successiva di Baer.



Ma molto meno pronte si sono dimostrate polizia e magistratura nel condurre a termine l'opera di epurazione iniziata dagli alleati: così si è giunti alla sconcertante situazione di oggi, in cui può avvenire che un comandante di Auschwitz viva e lavori indisturbato in Germania per quindici anni, e che il carnefice di milioni di innocenti venga rintracciato non già dalla polizia tedesca, ma “illegalmente” da vittime sfuggite alla sua mano.



In un altro articolo, datato 8 marzo 1984, intitolato Auschwitz, città tranquilla, racconta di esser venuto a conoscenza, da amici comuni, della storia di un chimico tedesco, Mertens, venuto a lavorare ad Auschwitz nello stesso periodo della sua prigionia.



Era un quasi-me, un altro me stesso ribaltato. Eravamo coetanei, non dissimili come studi, forse neppure come carattere; lui, Mertens, giovane chimico tedesco e cattolico, e io, giovane chimico italiano ed ebreo. Potenzialmente due colleghi: di fatto lavoravamo nella stessa fabbrica, ma io stavo dentro il filo spinato e lui fuori. Tuttavia, eravamo quarantamila a lavorare nel cantiere dei Buna-Werke di Auschwitz, e che noi due, lui Oberingenieur e io chimico-schiavo, ci siamo incontrati, è improbabile, comunque non più verificabile. Neppure dopo ci siamo mai visti.
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22/05/2011 20:24

A Mertens viene proposto, dal governo nazista, di lavorare nella fabbrica di Buna ad Auschwitz.



Mertens ci pensa su: è fidanzato, e mettere su casa in Germania, sotto i bombardamenti, è imprudente: Chiede un permesso e va a vedere. Che cosa abbia visto in questo primo sopralluogo, non è noto: l'uomo è tornato, si è sposato, non ha parlato con nessuno, ed è ripartito per Auschwitz con la moglie e i mobili per stabilirsi laggiù. Gli amici, quelli appunto che mi hanno scritto questa storia, lo hanno invitato a parlare, ma lui non ha parlato. Neppure ha parlato nel corso della sua seconda ricomparsa in patria, nell'estate del 1943, in ferie (perché anche nella Germania nazista in guerra, in agosto la gente andava in ferie).



In questo secondo ritorno in Germania, viene messo alle strette dagli amici
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22/05/2011 20:24

Mertens si sente conteso tra l'ubriachezza, la prudenza e un certo bisogno di confessarsi. - Auschwitz è un Lager, - dice, - anzi un gruppo di Lager: uno è proprio contiguo alla fabbrica: Ci sono uomini e donne, sporchi, stracciati, non parlano tedesco. Fanno i lavori più faticosi. Noi non possiamo parlare con loro. - Chi ve l'ha proibito? - La direzione. Quando siamo arrivati ci hanno detto che sono gente pericolosa, banditi e sovversivi. - E tu non gli hai mai parlato? - chiese il padrone di casa. - No, - rispose Mertens versandosi un altro bicchiere. Qui intervenne la giovane signora Mertens: - Io ho incontrato una donna che faceva le pulizie in casa del direttore. Mi ha solo detto “Frau, Brot”: “signora, pane”, ma io... - Mertens non doveva poi essere tanto ubriaco, perché disse seccamente alla moglie - Smettila - e rivolto agli altri: - Non vorreste cambiare argomento?



La storia è evidentemente simile a quella di migliaia di altri lavoratori tedeschi che hanno vissuto fianco a fianco, nelle fabbriche, con gli schiavi dei Lager.



Non ho mai cercato di incontrarmi con Mertens. Provavo un ritegno complesso, di cui l'avversione era solo una delle componenti. Anni addietro, gli ho scritto una lettera: gli dicevo che se Hitler è salito al potere, ha devastato l'Europa e ha condotto la Germania alla rovina, è perché molti buoni cittadini tedeschi si sono comportati come lui, cercando di non vedere e tacendo su quanto vedevano. Mertens non mi ha risposto, ed è morto pochi anni dopo.

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22/05/2011 20:24

Primo Levi
I sommersi e i salvati
Torino, Einaudi, 1986



Uno dei libri più tormentati di Primo Levi, l'opera in cui ritorna a mente fredda sulla Shoah, cercando di indagarne le cause e i comportamenti, al di là della sua esperienza personale.
Il volume ha il coraggio di indagare anche su quella che Levi definisce la zona grigia, il novero di quelle persone che, per cercare di salvare la vita o per altri motivi, i più diversi, si sono piegati fino a collaborare col sistema di sterminio.



Per quanto riguarda i prigionieri privilegiati, il discorso è più complesso, ed anche più importante: a mio parere, è anzi fondamentale. E' ingenuo, assurdo e storicamente falso ritenere che un sistema infero, qual era il nazionalsocialismo, santifichi le sue vittime: al contrario, esso le degrada, le assimila a sé, e ciò tanto più quanto esse sono disponibili, bianche, prive di un'ossatura politica o morale. Da molti segni, pare che sia giunto il tempo di esplorare lo spazio che separa (non solo nei Lager nazisti!) le vittime dai persecutori, e di farlo con mano più leggera, e con spirito meno torbido, di quanto non si sia fatto ad esempio in alcuni film. Solo una retorica schematica può sostenere che quello spazio sia vuoto: non lo è mai, è costellato di figure turpi o patetiche (a volte posseggono le due qualità ad un tempo), che è indispensabile conoscere se vogliamo conoscere la specie umana, se vogliamo saper difendere le nostre anime quando una simile prova si dovesse nuovamente prospettare, o se anche soltanto vogliamo renderci conto di quello che avviene in un grande stabilimento industriale.

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22/05/2011 20:25

I prigionieri privilegiati erano in minoranza entro la popolazione dei Lager, ma rappresentano invece una forte maggioranza fra i sopravvissuti; infatti, anche se non si tenga conto della fatica, delle percosse, del freddo, delle malattie, va ricordato che la razione alimentare era decisamente insufficiente anche per il prigioniero più sobrio: consumate in due o tre mesi le riserve fisiologiche dell'organismo, la morte per fame, o per malattie indotte dalla fame, era il destino normale del prigioniero. Poteva essere evitato solo con un sovrappiù alimentare, e per ottenere questo occorreva un privilegio, grande o piccolo; in altre parole, un modo, octroyé o conquistato, astuto o violento, lecito o illecito, di sollevarsi al di sopra della norma.



Il fenomeno è sicuramente da classificare con fenomeni analoghi di ricerca di potere e privilegio, in ogni struttura umana.



L'ascesa dei privilegiati, non solo in Lager ma in tutte le convivenze umane, è un fenomeno angosciante ma immancabile: essi sono assenti solo nelle utopie. E' compito dell'uomo giusto fare guerra ad ogni privilegio non meritato, ma non si deve dimenticare che questa è una guerra senza fine. Dove esiste un potere esercitato da pochi, o da uno solo, contro i molti, il privilegio nasce e prolifera, anche contro il volere del potere stesso; ma è normale che il potere, invece, lo tolleri o lo incoraggi. Limitiamoci al Lager, che però (anche nella sua versione sovietica) può ben servire da “laboratorio”: la classe ibrida dei prigionieri-funzionari ne costituisce l'ossatura, ed insieme il lineamento più inquietante. E' una zona grigia, dai contorni mal definiti, che insieme separa e congiunge i due campi dei padroni e dei servi. Possiede una struttura interna incredibilmente complicata, ed alberga in sé quanto basta per confondere il nostro bisogno di giudicare.

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22/05/2011 20:25

Il caso più inquietante è sicuramente quello delle squadre degli addetti ai Crematori.



Un caso libero di collaborazione è rappresentato dai Sonderkommandos di Auschwitz e degli altri Lager di sterminio. Qui si esita a parlare di privilegio: chi ne faceva parte era privilegiato solo in quanto (ma a quale costo!) per qualche mese mangiava a sufficienza, non certo perché potesse essere invidiato. Con questa denominazione debitamente vaga, Squadra Speciale, veniva indicato dalle SS il gruppo di prigionieri a cui era affidata la gestione dei crematoi. A loro aspettava mantenere l'ordine fra i nuovi arrivati (spesso del tutto inconsapevoli del destino che li attendeva) che dovevano essere introdotti nelle camere a gas; estrarre dalle camere i cadaveri; cavare i denti d'oro dalle mascelle; tagliare i capelli femminili; smistare e classificare gli abiti, le scarpe, il contenuto dei bagagli; trasportare i corpi ai crematori e sovraintendere al funzionamento dei forni; estrarre ed eliminare le ceneri. La Squadra Speciale di Auschwitz contava, a seconda dei periodi, da 700 a 1000 effettivi...
Le Squadre Speciali erano costituite in massima parte da ebrei. Per un verso, questo non può stupire, dal momento che lo scopo principale dei Lager era quello di distruggere gli ebrei, e che la popolazione di Auschwitz, a partire dal 1943, era costituita da ebrei per il 90-95%; sotto un altro aspetto, si rimane attoniti davanti a questo parossismo di perfidia e di odio: dovevano essere gli ebrei a mettere nei forni gli ebrei, si doveva dimostrare che gli ebrei, sotto-razza, sotto-uomini, si piegano ad ogni umiliazione, perfino a distruggere se stessi. D'altra parte, è attestato che non tutte le SS accettavano volentieri il massacro come compito quotidiano; delegare alle vittime stesse una parte del lavoro, e proprio la più sporca, doveva servire (e probabilmente servì) ad alleggerire qualche coscienza.

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22/05/2011 20:25

E', forse, questo il risultato più infimo, raggiunto dalle SS.



Aver concepito ed organizzato le Squadre è stato il delitto più demoniaco del nazionalsocialismo. Dietro all'aspetto pragmatico (fare economia di uomini validi, imporre ad altri i compiti più atroci) se ne scorgono altri più sottili. Attraverso questa istituzione, si tentava di spostare sugli altri, e precisamente sulle vittime, il peso della colpa, talché, a loro sollievo, non rimanesse neppure la consapevolezza di essere innocenti. Non è facile né gradevole scandagliare questo abisso di malvagità, eppure io penso che lo si debba fare, perché ciò che è stato possibile perpetrare ieri potrà essere nuovamente tentato domani, potrà coinvolgere noi stessi o i nostri figli. Si prova la tentazione di torcere il viso e distogliere la mente: è una tentazione a cui ci si deve opporre. Infatti, l'esistenza delle Squadre aveva un significato, conteneva un messaggio: “Noi, il popolo dei Signori, siamo i vostri distruttori, ma voi non siete migliori di noi; se lo vogliamo, e lo vogliamo, noi siamo capaci di distruggere non solo i vostri corpi, ma anche le vostre anime, così come abbiamo distrutto le nostre”.



L'omogeneizzazione delle vittime ai carnefici può essere simbolizzata da un episodio che ci viene riferito da M.Nyiszli, Auschwitz. A Doctor's Eyewitness account, che fu testimone di un incontro di calcio che si svolse fra le SS da un lato e gli uomini del Sonderkommando dall'altro.
Il problema è enorme; per indicarne la complessità segnaliamo all'opposto la scelta di 400 ebrei di Corfù che, nel luglio 1944, inseriti in massa nel Sonderkommando rifiutarono il lavoro e furono mandati subito in gas (la notizia è presa da Francesco M. Cataluccio, L'inevitabilità del male, postfazione a Calel Perechodnik, Sono un assassino?, nel presente catalogo).
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Saul Friedlaender
Kurt Gerstein o l'ambiguità del bene
Feltrinelli, Milano, 1967



Il testo racconta l'incredibile storia di Kurt Gerstein, entrato nelle SS con intenti spionistici. L. Poliakov, in Il nazismo e lo sterminio degli ebrei, descrive come Gerstein fu conosciuto, alla fine della guerra:



Il 5 maggio 1945, cioè alla vigilia della capitolazione tedesca, due ufficiali del sesto gruppo d'armata americana, il maggiore Evans e il capitano Haught, furono avvicinati nella piccola città di Rothweil nella Foresta Nera, da un uomo che si presentò loro come il dottor Kurt Gerstein, antico capo del servizio di disinfezione della Waffen-SS. Egli assicurò di avere da fare loro delle gravi rivelazioni e consegnò loro un memorandum in francese di cui riportiamo più avanti una parte essenziale.
Inoltre, per dare maggiore peso alla sua testimonianza, diede loro un mazzo di fatture relative all'acquisto da parte del RSHA, del Cyclon B (cioè del gas tossico che serviva per lo sterminio), fatture che risultavano a suo nome. Gerstein fu consegnato alle autorità francesi e imprigionato nel carcere militare del Cherche-Midi, a Parigi, dove nel luglio '45 si impiccò. Va rilevato che alcuni particolari della sua relazione, che reca la data certa del 5 maggio 1945, non potevano, in quel momento, essere conosciuti che da un numero ristretto di funzionari del IV b.
In più, una decina di testimoni, la maggior parte dei quali apparteneva alla Chiesa confessante protestante (tra cui il celebre pastore Niemoeller) attestarono di aver conosciuto Gerstein da molti anni e si fecero garanti della veridicità delle sue affermazioni come dell'autenticità dei suoi sentimenti antinazisti. Infine Gerstein nel seguito della sua relazione assicurava di aver riferito, nell'agosto 1942, a rischio della sua vita, a un membro dell'ambasciata svedese ciò che aveva potuto apprendere; l'esattezza di questo fatto ci è stata confermata dal Ministero degli Esteri di Svezia che, a suo tempo, aveva trasmesso a Londra le informazioni ottenute in tal modo.
Gerstein in persona affermava di essere entrato nel 1941, nelle Waffen-SS al solo scopo di sviare i suoi persecutori e di venire a conoscere la verità sul programma di eutanasia che a quest'epoca preoccupava in Germania gli ambienti della Chiesa confessante. E' così che si sarebbe trovato coinvolto nella faccenda. Secondo uno dei suoi sostenitori, il pastore Mochalski, “... sottovalutando il sistema SS, egli finì con l'esserne schiacciato e si mise al servizio dell'opera sterminatrice a cui voleva opporsi e che voleva combattere. Io ritengo verosimile che egli abbia cercato o almeno abbia avuto l'intenzione di alleviare le sofferenze degli internati e sabotare la consegna di acido prussico. Ignoro se fu in grado di farlo”.

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