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Rassegna libraria Voci dalla Shoah

Ultimo Aggiornamento: 22/05/2011 20:38
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22/05/2011 20:36

Il fatto che lo stupido sia spesso testardo non deve ingannare sulla sua mancanza di indipendenza. Parlandogli ci si accorge addirittura che non si ha a che fare direttamente con lui, con lui personalmente ma con slogan, motti ecc. da cui egli è dominato. E' ammaliato, accecato, vittima di un abuso e di un trattamento pervertito che coinvolge la sua stessa persona. Trasformatosi in uno strumento senza volontà, lo stupido sarà capace di qualsiasi malvagità, essendo contemporaneamente incapace di riconoscerla come tale. Questo è il pericolo che una profanazione diabolica porta con sé. Ci sono uomini che potranno essere rovinati per sempre.



Il 5 aprile '43 è rinchiuso nel carcere di Berlino-Tegel. Il 20 luglio '44 fallisce l'attentato ad Hitler. Il cognato di Bonhoeffer, Hans von Dohnanyi è la figura chiave della cospirazione.
Bonhoeffer è deportato a Buchenwald, Schoeberg ed infine a Flossenburg dove viene impiccato il 9 aprile 1945.

Resistenza e resa, raccoglie le sue lettere ed i suoi scritti dalla prigionia.
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Christoph U. Schminck-Gustavus
Il processo contro Bonhoeffer e altri a Flossenburg e l'assoluzione dei magistrati-assassini nel dopoguerra
in
Giuseppe Ruggieri (a cura di)
Dietrich Bonhoeffer. La fede concreta
Bologna, Il Mulino, 1996



Il racconto del medico dell'esecuzione, scritto a distanza di pochi anni, viene citato spesso perché è l'ultima notizia autentica sulla fine di Bonhoeffer. Il medico scrisse:



La mattina di quel giorno (9 aprile 1945), tra le ore 5 o 6, i prigionieri - l'ammiraglio Canaris, il generale Oster, il giudice Sack, il capitano Gehre e il pastore Bonhoeffer - furono condotti fuori delle loro celle. A voce alto vennero lette le sentenze della corte marziale. Attraverso una porta socchiusa in una cella nella baracca dei prigionieri ho visto il pastore Bonhoeffer in ginocchio. Stava pregando, prima che si togliesse i vestiti da prigioniero. Era immerso in un'ultima preghiera a Iddio. La completa dedizione nella preghiera di quest'uomo, particolarmente simpatico, il suo assorbimento totale nella certezza di essere esaudito mi hanno profondamente colpito. Anche dopo, al luogo del supplizio, Bonhoeffer disse ancora una breve preghiera. Poi salì calmo, con coraggio e fermezza d'animo sulla scaletta sotto la forca. La morte avvenne dopo pochi secondi. Nei quasi cinquant'anni della mia prassi di medico non ho mai visto morire un uomo in maniera così rassegnata alla volontà di Dio.

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22/05/2011 20:37

Christoph U.Schminck-Gustavus ha imparato, nei suoi precedenti studi sulla Shoah (vedi il fondamentale Mal di casa, storia di Walerjan Wrobel) a leggere dietro i resoconti ufficiali, dietro le righe dei resoconti volutamente allettanti dei magistrati e dei medici tedeschi.



Fischer era un Lagerarzt, cioè il medico di un campo di concentramento, e come tale deve aver visto tutto, specialmente perché Flossenburg era un campo di sterminio. Il medico del campo poteva circolare liberamente nel Lager, poteva visitare le baracche, poteva vedere la fame e gli stenti, le malattie e la morte. Il medico vedeva anche i cosiddetti musulmani, cioè i moribondi nel Revier, nella baracca sanitaria del campo.
Ma un medico nel Lager non solo vede, ha anche delle funzioni specifiche. Sono funzioni che non hanno tanto a che fare coi compiti di un medico: cioè di guarire o di assistere i malati.



Fischer, il medico che ci descrive la morte di Bonhoeffer, è presente al momento della morte perché suo compito è redigere il certificato di morte. E' uno delle autorità del campo, uno dei tanti carnefici.
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La maggior parte di questi certificati, però, falsificano i motivi del decesso per ingannare i parenti delle vittime. Il dottor Fischer non ha firmato solo il certificato di morte per Dietrich Bonhoeffer e per gli altri quattro assassinati quella mattina, ma la sua firma si troverà probabilmente anche sotto il certificato di morte per il fratello di Sandro Pertini e di tanti altri morti a Flossenburg. Un'altra funzione del medico era l'accertamento di morte avvenuta, dopo le esecuzioni nel campo. Per l'ordinamento nel mondo concentrazionario, è un dato essenziale che il numero dei prigionieri sia sempre esatto: nessuno dei vivi e dei morti deve mancare all'appello. Si viene cancellati dai registri del Lager solo quando arriva il certificato di morte, firmato dal medico. Il dottor Fischer dunque non era un testimone casuale delle ultime preghiere di Dietrich Bonhoeffer, ma era un funzionario del campo che partecipava d'ufficio all'esecuzione. Questo fatto spiega perché Fischer avvolge il suo racconto in una luce mite, nascondendo le atrocità che accompagnano l'assassinio. Fischer scrive : “prima che si togliesse i vestiti da prigioniero” - ma non dice perché Bonhoeffer avesse tolto i suoi vestiti. Lo leggiamo invece in una sentenza della corte d'assise di Augsburg del 15 ottobre 1955:



Le esecuzioni avvennero l'una dopo l'altra e durarono circa un'ora. Tutti e cinque gli uomini furono costretti a spogliarsi completamente nudi ; poi dovettero salire su una
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specie di scaletta. Prima fu sistemato una fune al loro collo e poi venne tirata via la scaletta. Subito dopo avvenne la morte.



Ma sappiamo ancora di più del dottor Fischer. Lui non era solo medico condotto a Flossenburg, ma ricopriva un rango elevato nelle SS. Era Obersturmbannfuhrer, cioè colonnello delle SS. Pochi giorni dopo l'assassinio dei cinque prigionieri Fischer partecipò all'evacuazione del campo, accompagnando la famigerata “marcia della morte” verso Dachau.



Dopo il processo di Augsburg



il dottor Fischer tornò a casa a piede libero. Nessuno gli ha potuto impedire di dichiararsi profondamente colpito dalla morte del martire.



Un processo svoltosi successivamente svela ancora più chiaramente la sua identità:



Un anno dopo Fischer fu condannato, in un altro processo della corte d'assise di Weiden, a tre anni di reclusione per concorso in omicidio doloso; aveva partecipato all'uccisione di almeno 40 prigionieri di Flossenburg tramite iniezioni. Eseguendo un ordine clandestino di Himmler di eliminare tutti i moribondi nei campi, le vittime erano state scelte per il loro grave stato di salute. Considerati non guaribili erano stati ritenuti ormai di peso per la produttività del campo.

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In carcere Bonhoeffer aveva scritto anche poesie come La morte di Mosè:



Tu mi hai concesso la morte sulle aspre montagne,
e non quella tra le genti delle valli.
Dietro gli orizzonti della morte
son già apparsi i fuochi dei nuovi tempi.
Mirabile la grazia, che tu mi hai concesso,
l'amaro che tu mi hai scelto in dolcezza.
Oltre i veli della morte mi fai vedere tu
il popolo che s'incammina per la grande festa.
Cadendo, Iddio, nei Tuoi eterni spazi,
io lo vedo che s'avvia alla libertà.
Tu, Iddio, punisci e perdoni!
Ma io, questo mio popolo, quanto l'ho amato.



La fede di Bonhoeffer era andata contro corrente da sempre, ma non bisogna dimenticare quello che in quei tempi succedeva nella chiesa ufficiale. L'unica rivista religiosa autorizzata dal regime, la rivista Pfarramt und Theologie aveva scritto nei giorni dopo il 20 luglio 1944, cioè dopo l'attentato ad Hitler:

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22/05/2011 20:38

giorno tremendo

Mentre le nostre coraggiose armate, sfidando la morte, si battono in battaglie tremende per la salvezza della patria e per la vittoria finale, un branco di ufficiali scellerati, eccitati in un'ambizione malata, ha osato commettere un crimine tremendo: un attentato per assassinare il Fuhrer. Il Fuhrer fu salvato e con ciò per il nostro popolo fu sventato un male indicibile. Per questo noi siamo grati di cuore a Dio e preghiamo in tutte le nostre chiese che Iddio voglia aiutare il Fuhrer a risolvere i problemi difficilissimi che gli pesano e lo gravano in questi tempi durissimi.



Il processo di von Dohnanyi, cognato di Bonhoeffer, ispiratore principale dell'attentato ad Hitler, si svolse al di fuori di ogni legalità:



Il medico, nell'estremo tentativo di impedire che von Dohnanyi fosse portato via dall'ospedale, gli fece due forti iniezioni di Luminal, un pesante sonnifero, per renderlo non trasportabile.
Ma il tentativo non valse a niente. Il 6 aprile 1945 von Dohnanyi fu portato via dall'ospedale di Berlino e trasferito di nuovo a Sachsenhausen, luogo del suo imminente supplizio. Per il processo non ci vollero grandi preparativi: Huppenkothen fungeva da pubblico ministero e pronunciò l'accusa. Il comandante del campo faceva il “giudice”. Per sbrigare meglio la vicenda, Huppenkothen si era fatto accompagnare anche dalla sua segretaria, una tale signorina von Ti. che aveva portato con sé gli atti necessari.
Von Dohnanyi, ancora sotto gli effetti del sonnifero, fu portato in barella davanti alla corte marziale, cioè probabilmente davanti alla scrivania del comandante del campo. La precisa composizione della corte non è accertata. Davanti alla corte d'assise di Augsburg Huppenkothen si rifiutò di fare dei nomi. Un difensore per von Dohnanyi non fu chiamato. Non esistette neanche un segretario giudiziario per verbalizzare il procedimento. Se von Dohnanyi, sulla sua barella, ha potuto capire qualcosa di quello che gli succedeva, non ci è dato sapere. Huppenkothen chiese la pena di morte che, dopo una breve deliberazione, fu anche pronunciata dalla corte.

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Nella sua autodifesa di Augsburg Huppenkothen afferma che il processo si sarebbe svolto in forma regolare e che l'imputato si sarebbe anche difeso.



Bonheffer celebrò nella sua ultima domenica il servizio religioso. Dopo la funzione fu aperta la porta e il pastore fu chiamato.



Disse a uno dei co-prigionieri: “Questa è la fine... ma per me l'inizio della vita”. Dopo queste parole fu portato a Flossenburg.



Il processo fu, di nuovo, assolutamente irregolare:



Neanche a Flossenburg fu chiamato un difensore per i cinque accusati. Non esistette neppure una verbalizzazione nel processo per la redazione di un protocollo. Ma per quella corte non erano questi difetti di procedura. Quello che contava era il risultato. Per provare la diligenza del dibattimento, Thorbeck volle far credere alla corte che il processo sarebbe durato due giorni. Ma dalla deposizione di altri testimoni risulta che il processo ebbe inizio verso mezzogiorno di domenica, 8 aprile 1945, e si concluse verso mezzanotte con la condanna a morte di tutti i cinque congiurati. L'indomani Huppenkothen tornò a Berlino per il rendiconto al RSHA.

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Il processo di Bonhoeffer e degli altri quattro fu presieduto dal giudice Thorbeck, di 33 anni. Dichiarò che



per quanto riguarda il procedimento marziale, egli avrebbe - come sempre - condotto il processo in piena conformità alla legge e in maniera completamente serena e diligente. La chiamata di un difensore gli apparve superflua; a parte questo, sarebbe stata anche praticamente impossibile. Lui stesso scrisse il verbale del procedimento.



La corte d'assise di Augsburg, chiamata a pronunciarsi dopo la guerra sul procedimento, concluse incredibilmente:



Un giudice, il quale allora doveva processare un resistente per la sua attività sovversiva e il quale, in un procedimento corretto, l'ha condannato, perché colpevole, oggi, dal punto di vista penale, non può essere biasimato. Questa neanche se il giudice non ha esaminato la questione se il resistente di allora fosse giustificato da uno stato di necessità sopralegale o addirittura da un diritto alla resistenza. Il giudice che allora, per la sua soggezione alle leggi vigenti, ha pensato di dover condannare un resistente alla morte per alto tradimento, dal punto di vista penale, oggi non può essere colpevole.



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